Biografia di Umberto
Boccioni
Umberto Boccioni nasce a Reggio Calabria il 19 ottobre 1882 da genitori
romagnoli. La madre Cecilia lavora come cucitrice e ricamatrice all’interno
delle mura domestiche, attività che diventa uno dei soggetti prediletti di
Boccioni sin dagli esordi della sua carriera artistica. Il padre Raffaele
lavora come commesso di prefettura, occupazione che porta la famiglia, di
cui fa parte anche la sorella Amelia, a trasferirsi frequentemente, prima a
Forlì poco dopo la nascita di Umberto, poi a Genova (1885) e Padova (1888).
Nel 1897, mentre la madre e Amelia restano a Padova, Umberto segue il padre
a Catania dove frequenta l’Istituto tecnico e stringe amicizia con il
compagno di studi Mario Nicotra. Inizia a collaborare con alcuni giornali
locali sviluppando il suo interesse per la scrittura che al tempo sembrava
essere la sua vocazione: risalgono a questo periodo, fra gli altri scritti,
il racconto Pene dell’Anima (1900) e il poema Carcereide (1901).
Nel 1899 si trasferisce a Roma dove ha inizio il suo percorso artistico con
un apprendistato di disegnatore pubblicitario presso un cartellonista,
probabilmente Giovanni Mario Mataloni. In seguito si iscrive alla Scuola
comunale di arti ornamentali e frequenta la Scuola libera del nudo. Incontra
Gino Severini con il quale dal 1902 inizia a frequentare lo studio di
Giacomo Balla. Qui, insieme a Mario Sironi, i due giovani vengono iniziati
alla tecnica divisionista e alla pittura francese contemporanea. Boccioni
proverà sempre grande ammirazione per Balla, il suo primo maestro, i cui
insegnamenti lasceranno un profondo segno nel suo lavoro e che ritroverà al
suo fianco nell’avventura futurista. Sempre a Roma frequenta l’eclettico
artista Duilio Cambellotti che lo introduce alla grafica di gusto
secessionista.
Dal 1903 al 1906 partecipa all’Esposizione Internazionale di Belle Arti
della Società degli Amatori e Cultori di Roma. All’edizione del 1904
presenta Campagna romana, uno dei suoi primi dipinti nel quale si possono
leggere l’influenza di Balla e un debito nei confronti della pittura di
Giovanni Segantini, di cui Boccioni conosceva e ammirava l’opera. Il rifiuto
dell’opera Chiostro all’edizione del 1905 spingerà Boccioni ad organizzare
insieme ad altri artisti la “mostra dei rifiutati” nel foyer del Teatro
Costanzi.
Accanto alla produzione artistica di questi anni Boccioni continua a
lavorare come cartellonista e illustratore, attività che seppure disdegna è
necessaria al suo sostentamento. Le tempere prodotte in questo ambito, a
carattere folcloristico o relative a scene di vita moderna e quotidiana,
utilizzano un linguaggio vicino al gusto “art nouveau” che andava per la
maggiore nella grafica pubblicitaria e umoristica dell’epoca.
Nella primavera del 1906, in un momento di profonda crisi esistenziale e
creativa, Boccioni si reca per la prima volta a Parigi, rimanendo colpito
dalla vitalità e dall’incontro con il mondo moderno che verrà esaltato dai
futuristi. Tra agosto e dicembre compie un lungo viaggio in Russia, visita
San Pietroburgo, Mosca e, sulla via del ritorno a Padova, Varsavia e Vienna.
Nel 1907 frequenta a Venezia l’Accademia di Belle Arti e apprende le
tecniche dell’incisione.
In settembre, mentre si trova a Monaco con l’intento di partire nuovamente
per la Russia, visita la mostra dei secessionisti, mentre in ottobre rimane
particolarmente colpito dalla mostra dei divisionisti italiani organizzata a
Parigi da Alberto Grubicy de Dragon dalla quale rimane particolarmente
colpito. Nei primi anni milanesi si guadagna da vivere soprattutto grazie
all’attività grafica per l’editoria e in ambito pubblicitario. Entra così in
contatto con Gabriele Chiattone, titolare di una della più importanti
officine tipografiche di Milano il quale, oltre ad assegnargli una serie di
progetti, ne acquista alcune opere, confluite nella Collezione della Città
di Lugano grazie alla donazione dei suoi eredi.
Nel 1908 partecipa al concorso Mylius alla Permanente di Milano con Romanzo
di una cucitrice e Campagna lombarda. Con grande rammarico dell’artista le
due opere vengono ricevute freddamente da pubblico e critica. Lo stesso anno
incontra Gaetano Previati autore di trattati teorici sulla tecnica
divisionista nonché figura nella quale convergono le esperienze che
maggiormente attraggono Boccioni in questi anni, ossia quella del
divisionismo, del simbolismo e dell’espressionismo. Incontra il pittore
Carlo Carrà e l’architetto Antonio Sant’Elia con i quali condividerà in
seguito l’esperienza futurista. Nei diari di Boccioni emerge l’ammirazione
per l’opera dell’artista inglese Aubrey Beardsley, che influenza la sua
produzione soprattutto in ambito grafico.
Nel 1909 partecipa all’Esposizione di pittura e scultura di Brunate promossa
dalla Famiglia Artistica per la quale realizza anche il manifesto con
l’allegoria delle arti stampato dalle officine Chiattone. Tra il 1909 e il
1910 avviene il fondamentale incontro con Filippo Tommaso Marinetti e con
altre due importanti figure legate al nascente movimento futurista, la
scrittrice Margherita Sarfatti – la cui figlia Fiammetta viene ritratta in
seguito da Boccioni in una serie di disegni e dipinti – e il pittore Luigi
Russolo. In questi anni si rafforza il legame con l’amico di vecchia data
Vico Baer che diventerà un suo importante collezionista.
L’11 febbraio 1910 viene diffuso sotto forma di volantino il Manifesto dei
pittori futuristi, sottoscritto inizialmente da Boccioni, Carrà, Russolo ai
quali si aggiungeranno in un secondo momento Balla e Severini. Boccioni
partecipa alla stesura del documento e l’8 marzo presso il Politeama
Chiarella di Torino ne darà pubblica lettura nel corso di una delle numerose
serate futuriste organizzate nelle principali città italiane per diffondere
le idee del movimento attraverso un contatto diretto e spesso tumultuoso con
il pubblico. Di pochi mesi successivo è il Manifesto tecnico della pittura
futurista che reca la firma del medesimo quintetto. Nell’estate del 1910,
invitato dal direttore Nino Barbantini, Boccioni partecipa con quarantadue
opere relative al periodo prefuturista alla Mostra d’estate di Ca’ Pesaro.
I concetti fondamentali del linguaggio futurista – che Boccioni elaborerà
con maggiore precisione negli anni a venire – dinamismo, simultaneità,
scomposizione del soggetto ed intersezione dei piani, iniziano a
concretizzarsi nelle importanti tele esposte alla Prima Esposizione di Arte
Libera di Milano del 1911, fra le quali Rissa in Galleria (1910), La città
sale (1910-1911) e La risata (1911). Ardengo Soffici pubblica su “La Voce”
una stroncatura della mostra, l’articolo scatena la celebre “spedizione
punitiva” del 29 giugno 1911: Boccioni insieme a Carrà, Marinetti e Russolo
si reca a Firenze per confrontarsi con Soffici e con gli altri animatori de
“La Voce”. L’incontro si trasforma immediatamente in rissa e si conclude in
Questura, malgrado ciò il confronto fra milanesi e fiorentini porterà
all’adesione di Soffici, Prezzolini, Slataper e Papini al movimento
futurista.
Nasce il progetto di diffondere la nuova pittura al di là dei confini
italiani, così nell’inverno 1911 Boccioni si reca con Russolo e Carrà a
Parigi, qui Severini presenta loro Picasso e li introduce all’estetica
cubista, esperienze che portano Boccioni a rielaborare il trittico Stati
d’animo (1911) che sarà al centro dell’imminente e accesa polemica fra
cubisti e futuristi. Le opere di Boccioni, Balla, Carrà, Russolo e Severini
vengono successivamente presentate a Londra, Berlino, Bruxelles, Amburgo,
L’Aja, Amsterdam e Monaco.
Nel corso del 1912 Boccioni si confronta per la prima volta con la scultura
e redige il Manifesto tecnico della scultura futurista dove elabora il
concetto di “infinito plastico”.
Alla Prima Esposizione di Pittura Futurista allestita nel ridotto del Teatro
Costanzi di Roma nel gennaio 1913, Boccioni presenta l’evoluzione delle sue
ricerche, recensita positivamente da Roberto Longhi in un articolo su “La
Voce”. Nel corso dell’anno partecipa alle esposizioni futuriste di Budapest,
Karlsruhe, Rotterdam, e inizia a collaborare con la neonata rivista
“Lacerba” che, fondata da Papini e Soffici dà ampio spazio alle tematiche
futuriste e pubblica numerosi scritti di Boccioni.
In autunno la rivista promuove l’Esposizione di pittura futurista di Lacerba
presso la Galleria Gonnelli di Firenze, e pubblica il Programma politico
futurista. Nello stesso anno le sculture di Boccioni vengono esposte alla
Galerie la Boëtie di Parigi e in seguito alla Galleria Futurista Sprovieri
di Roma. Nel 1914 Boccioni concentra i suoi sforzi nella redazione del
volume Pittura, scultura futuriste, impresa che lo lascerà esausto e
amareggiato dalle reazioni non sempre favorevoli che l’opera incontra anche
presso i futuristi. Nel corso dell’anno partecipa alle esposizioni
collettive di Lipsia, Londra, Roma e Napoli e tiene una personale presso la
Galleria Gonnelli di Firenze. Boccioni continua la collaborazione con
“Lacerba”, malgrado si stia delineando una frattura tra i futuristi
fiorentini e i “marinettisti”. L’inizio della Prima guerra mondiale scatena
le manifestazioni interventiste-futuriste alle quali Boccioni partecipa con
convinzione. Nel mese di settembre viene incarcerato insieme a Marinetti e
altri compagni per aver dato fuoco a otto bandiere austriache in piazza del
Duomo a Milano. Nell’estate del 1915 si arruola nel Battaglione volontari
ciclisti lombardi che vedrà nei suoi ranghi numerosi artisti fra i quali
Achille Funi, Marinetti, Russolo, Sant’Elia e Sironi. L’artista annota la
sua esperienza al fronte in un diario di guerra che redige fino al momento
del congedo nel mese di dicembre.
Nell’estate del 1916, trascorre un piacevole periodo a Pallanza presso i
marchesi Casanova dove esegue il Ritratto di Ferruccio Busoni, musicista e
compositore con il quale aveva stretto amicizia nel 1912 in seguito al suo
acquisto di La città sale. Relativi a questo soggiorno sono anche una serie
di paesaggi che denotano un riavvicinamento al linguaggio di Cézanne.
Nel mese di luglio viene assegnato a un reggimento di artiglieria nei pressi
di Verona e il 17 agosto muore in seguito ad una caduta da cavallo avvenuta
il giorno precedente. Nel dicembre 1916 Marinetti, rispettando il desiderio
espresso dall’amico prima della partenza per il fronte, organizza la
retrospettiva Grande esposizione Boccioni, pittore e scultore futurista alla
Galleria centrale di Milano.
Biografia di Primo Conti
Primo Conti nasce a Firenze il 16 ottobre 1900. Fin da piccolo studia il
violino e disegna con assiduità; realizza il suo primo dipinto a 11 anni.
Già dal 1913 frequenta i futuristi e le loro riunioni. Nel 1914 conosce
personalmente Boccioni ed allestisce, con il poeta Ugo Tommei, una mostra di
sculture dell’artista. Gli anni fra il 1915 e il 1918 vedono la sua decisa
maturazione nella direzione del futurismo. La scomposizione dinamica delle
figure e la reintegrazione dinamica e articolata delle parti tende a
ricomporsi in modo da assecondare la struttura architettonica della
composizione, donandole suggestioni geometriche, movimento e senso della
velocità. I disegni e i quadri si ispirano spesso a soggetti e scene di vita
quotidiana come: La Cocomeraia, L’Ostessa, Strada di paese, Le profughe. La
sua partecipazione alla guerra è breve ma gli effetti e la crisi umana e
sociale del dopoguerra vengono da lui vissuti in modo sentito e, a volte,
drammatico. Possiamo seguirne le varie evoluzioni e gli sviluppi attraverso
le opere: dapprima ironiche e dissacranti come i collages Danzante nuda e
Figura femminile con stella, uno degli studi per Eros. Successivamente, nel
tentativo di esplorare una dimensione artistica più statica e plastica -
senza tradire il suo passato e la fede nella modernità che lo aveva spinto
verso il futurismo - propone soggetti come Il clown, fino ad entrare in una
fase metafisica con opere come Pera e uovo e Pera, bacello e uovo.
Nel 1919 Pavolini pubblica la prima monografia dedicata a Conti, nella quale
vengono riprodotte opere quali Il volto, L'oste burlone, Natura morta: pera,
piva e uova. In questo periodo Conti riprende lo studio dei maestri del
Quattrocento e scopre un nuovo interesse per la pittura religiosa,
vagheggiando di inaugurare «una nuova vera e grande arte cristiana». A
sottrarlo a questo clima di ripiegamento e di incertezze contribuisce la
conoscenza con Harriet Quien, una sua coetanea dotata di una cultura e di
un’esperienza di vita cosmopolite, che rinforza la sua fiducia
nell’esistenza di orizzonti di vita e di pensiero più moderni e
culturalmente stimolanti. Conti è affascinato sia dalla sua personalità, che
da quanto la circondava, inclusi i suoi abiti che esibivano stile, toni e
colori, ricami e figure da lui mai visti e pensati prima. A questo suo primo
grande amore egli dedica ritratti come Giubbetto russo mentre alla
governante cinese dei suoi figli, abbigliata in costumi tradizionali cinesi,
dedica numerosi ritratti modellati con una nuova avvolgente plasticità del
colore, fra cui Liung-Juk, opera con cui nel novembre del 1924 ottiene il
premio Ussi. Quando Harriet torna in Asia egli le dona questa antologia di
disegni che ripercorre in modo saliente il periodo della sua formazione.
Fino allo scoppio della seconda guerra mondiale Conti continua a partecipare
a tutte le mostre dell’Istituto Carnegie di Pittsburgh (U.S.A.), alle
Biennali di Venezia e alle più importanti rassegne d’arte. Nel 1932
organizza, insieme ad Arturo Martini, la prima retrospettiva sulla propria
pittura nelle sale di Palazzo Ferroni resturate da Michelucci, di cui di lì
a poco sosterrà il progetto per la stazione di Santa Maria Novella (1934).
Nel 1930 aveva sposato la giovane Munda Cripps e la nuova dimensione
domestica, insieme alla nascita della figlia Maria Novella prima, e di
Gloria poi, ispira una serie di opere caratterizzate da un’atmosfera intima
e poetica, come Bambina e farfalla, la Bambina con coniglio di gomma, il
Ritratto della moglie, la Frutta dall’alto, il Nudino (1933).
A partire dal 1935 viene incaricato di provvedere al rinnovamento del Teatro
del Maggio Musicale Fiorentino con scenografie, bozzetti e costumi. Nel 1941
è titolare della cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze
ed espone con De Chirico alla Galleria Firenze (1941 e 1943). Per celebrare
il cinquantenario della sua pittura, nel 1962, viene realizzata a Palazzo
Strozzi una mostra a cui fanno seguito una lunga serie di tributi e
riconoscimenti.
Nel 1979 nasce la Fondazione Primo Conti, che viene a costituirsi come
Centro di documentazione sulle avanguardie storiche. L’artista dona ai
Comuni di Fiesole e Firenze la sua villa fiesolana e la maggior parte delle
sue opere storiche e recenti, insieme ai documenti sulle avanguardie che ha
raccolto nel corso della sua vita. Attualmente la Fondazione ospita oltre
ventimila documenti.
Primo Conti si spegne a Fiesole nel 1988.
Biografia di Harriet Quien
Henriette Francisca Quien nasce il 6 novembre 1900 a Shanghai da una
famiglia di origine francese che, per scampare alle persecuzioni contro gli
Ugonotti, era fuggita in Olanda. Da qui suo padre Frederich Carel Quien fa
la spola con la Cina dove collabora con la sua impresa a vari progetti
urbanistici, incluso quello di ampliare il passaggio fluviale al mare della
città di Shanghai. Harriet ritorna in Europa per svolgere i suoi studi in
Germania, Inghilterra e Svizzera; a Pechino conosce il suo futuro marito
Holger Dreyer che sposa nel 1919. Con lui ha due figli ma il matrimonio non
è felice e si trasferisce in Italia con i bambini e la governante (ama)
cinese Liung-Juk. Nel 1923 incontra per la prima volta Primo Conti sulla
spiaggia di Antignano. La sua storia d’amore con l’artista durerà quattro
anni durante i quali egli passerà molto tempo con lei e i suoi figli,
affascinato dall’ampiezza di visione e di esperienza da mondo globale della
sua coetanea, dalla raffinatezza e novità della cultura cinese che scopre a
casa di Harriet. Conti la ritrae in un quadro famoso, il Giubbetto russo e
dedica altre opere – che lo distolgono dalla vena grottesca di quel periodo
storicamente inquietante – alla governante cinese Liung-Juk.
Tornata in Oriente, nel 1935 Harriet si risposa in Giappone con Tjalling
Brunger con il quale si trasferisce in Brasile, dove morirà nel 1981. Anche
qui, occupandosi attivamente del Woman Club Brazil (il Club delle Donne del
Brasile), manterrà fede alle sue convinzioni che l’avevano indotta a voler
essere chiamata la Harry, perché, come diceva: ‘non è il sesso a definire la
personalità delle persone’.
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