Problematiche di particolare interesse

DESTRUTTURAZIONE DELLA PERSONALITÀ
nella Malattia di ALZHEIMER

Dott. Romeo Lucioni - Prof. Giuseppe Nappi

Il paziente Alzheimer, prescindendo da qualsiasi modello di personalità presentata prima dell’insorgere della malattia, dimostra una struttura personologica destrutturata, proprio come conseguenza dei deficit funzionali e delle "lesioni" croniche riscontrabili nei principali "centri" cerebrali. Al di sopra di ogni espressione fenomenologica evidenziabile, domina il quadro una sorta di "liberazione" dai controlli corticali che si manifesta soprattutto nell’incontinenza emotiva e nella esplosività.

La sintomatologia fondamentale è sintetizzabile in:

  • panansietà. La presenza di un’ansia libera e diffusa, tendenzialmente esplosiva e poco controllabile, diventa quasi una caratteristica della malattia. All’inizio può essere messa in relazione con la percezione dei deficit cognitivi (soprattutto della memoria e della comprensione dei discorsi e delle parole), ma, in seguito, si dimostra come risposta agli stimoli percettivi per mancanza di un controllo superiore (corticale).

  • sentimenti di tensione e di rabbia che sono reazioni al rapporto interpersonale che sovente diventa disturbante ed interviene a interrompere un adattamento personalistico che si evidenzia come "distacco affettivo".

  • distorsioni delle relazioni interpersonali che non sono improntate a reciprocità perchè sottese a irrequietezza ed opposizione che accompagnano una dimensione profonda di dipendenza e di riconoscimento dell’impossibilità a risolvere i problemi della vita quotidiana.

  • deficit dell’autoriconoscimento e dell’autovalorizzazione. La propria identità è minata dalle difficoltà di riconoscere i lineamenti del viso degli altri e dei propri; per loro è più facile riconoscersi per gli abiti indossati che per le fattezze del volto e/o per la mimica.

  • deficit dell’autovalorizzazione determinato da un distacco dalla realtà che comporta la perdita del riconoscimento delle relazioni tra un oggeto ed un altro, tra una persona ed un’altra; in questo modo si instaura una "perdita di valore" che investe anche il Sè.

  • predominanza di espressioni emotivo-istintive del pensiero per cui questi pazienti si sentono più figli che genitori e quindi tendono a riconoscere la propria madre nelle persone che li accudiscono (moglie o figlia o caregivers).

  • ritorno a sentimenti di critica oppositiva nei confronti di vissuti di esperienze relazionali con i genitori e/o con le persona significative della loro infanzia inglobati in resti mnestici negativi.

  • incapacità di analisi critica della realtà che, da un lato, deriva dalle difficoltà di riconoscimento e dal disorientamento spazio-temporale e, dall’altro, è condizionata dall’emergere istintivo dei bisogni relativi alle esperienze lavorativo-occupazionali del passato (si sentono ancora in fabbrica o in ufficio).

  • pan-nevrosi per la comparsa di atteggiamenti ossessivi, fobici, isterici, oppositivi e di negazione, oltre che spunti di autochiusura autistica (perdita della reciprocità).

  • pansessualità che compare a volte nei primi stadi della malattia.

  • difficoltà e/o impossibilità ad eseguire movimenti che comportino una coordinazione complessa. Questi pazienti, abituati a lunghe passeggiate, non riescono, per esempio, a sollevare alternativamente i piedi o a rialzarsi, se stesi supini sul pavimento.

  • adattamento superficiale e incostante alle situazioni sociali: partecipano alle iniziative solo per poco tempo, in una maniera distaccata o come per semplice imitazione.

  • tendenza a perdere i nessi associativi se inseriti in situazioni non strutturate per cui i modelli relazionali si fanno instabili, superficiali e caratterizzati da una spiccata dipendenza.

  • modalità istintiva di comportamento che portano a ballare e/o a cantare melodie semplici, ricordi della della loro gioventù.

  • sensi di paura e di angoscia nell’ affrontare esperienze comportamentali e relazionali nuove.

  • rinuncia al contatto interpersonale e tendenza a rimanere soli, isolati, immersi nei propri "pensieri" e nel proprio affacendamento afinalistico.

  • riduzione dell’attenzione e della coscienza che deriva dall’affievolimento della capacità attentiva, sia conativa (volontaria) che spontanea; dall’offuscamento della coscienza intesa come consapevolezza di sè, degli altri e del mondo; dalle difficoltà critiche e dalla liberazione di substrati psichici istintivi (predominio del bisogno di soddisfare il proprio senso del piacere).

  • predominio di un pensiero primario, prelogico. Avendo perso la capacità di esaminare criticamente la realtà, le associazioni emotive, automatiche e istintive precludono e prevaricano l’obiettività, costringendo a comportamenti forse anche gratificanti, ma che conducono all’isolamento.

  • linguaggio frammentario ed incoerente proprio perchè non sostenuto da engrammi comprensibili sia per il soggetto che per gli interlocutori. Le parole si susseguono come una cantilena logorroica, carica di emotività e di tensione, ma che, inadatta alla comunicazione, spinge alla fuga e all’isolamento.

  • patologia delle relazioni oggettuali interiorizzate che porta ad uno sfuocamento dell’identità; questi malati sono incapaci di sintetizzare le introiezioni che, svuotate di contenuto, non permettono di essere vissute empaticamente. Le relazioni emotive risultano superficiali con grave incapacità di sperimentare sentimenti di colpa e autentico intersse per gli oggetti.

  • utilizzazione di meccanismi controfobici per contenere la tensione emotiva e mimetizzare il disorientamento; appaiono comportamenti rituali, ripetitivi ed ossessivi come quelli di continuare a spolverare, arrotolare le tende o le tovaglie, stropicciare i propri abiti, portare con sè oggetti inusuali ed assurdi, come se fossere oggetti abitudinari.

  • uso di forme primitive di proiezione e di identificazione proiettiva per cui le immagini di sè, aggressive e distruttive, sviluppano oggetti persecutori che influiscono negativamente sullo sviluppo dell’ ideale dell’Io e sulla strutturazione di un Super Io comprensivo e tollerante.

  • lo sviluppo psichico è dominato dalla svalorizzazione proiettiva dell’oggetto che, non più fonte di protezione e di soddisfazione, viene abbandonato, generando una frattura insanabile tra il sè ed il mondo.

  • uno schema personologico di tipo ossessivo-compulsivo giustifica atteggiamenti di costrizione alla pulizia, all’ordine, alla sottomissione "filiale" ed anche reazioni aggressive e intensi desideri distruttivi.

  • la flessione dei controlli cognitivo-razionali lascia riemergere moduli mentali arcaici dominati da sentimenti Super-egoici che giustificano comportamenti caratterizzati da stereotipie, riservatezza, perdita dell’iniziativa e della spontaneità.

  • la volontà è sostituita da scelte istintivo-libidiche, utilizzate sia per contenere le ansie esistenziali emergenti dalla relazioni e dall’esperienza sensoriale, sia per ripristinare un larvato senso di autostima, di autonomia e di autovalorizzazione.

Tutti questi sintomi denotano impoverimento, debolezza e desturtturazione dell’ Io, così come schematicamente riassunto nel seguente specchietto:
 

DEBOLEZZA DELL’ IO

A - per la perdita del controllo sull’emotività 
     e sulle pulsioni istintive:

Non sa difendersi da impulsi primitivi come:

  • irritabilità

  • aggressività

  • distruttività

  • angoscia e panico

Utilizza pensiero primario, fondato su onnipotenza, ideazione primaria, svalutazione

Non riesce a posticipare la scarica degli impulsi

Non sa modulare gli affetti (per es. ansia, angoscia)

Non tollera le frustrazioni ed i rimproveri

Di fronte all’insicurezza si ritira

Non resiste al fascino-tentazione delle cose (proiezione del sè nelle cose)

Non resiste al contagio del gruppo

Non contiene l’eccitazione psicologica del collettivo (si riuniscono facilmente e seguono l’esempio dei compagni)

Tende a negare e a dimenticare subito

Dimostra sublimazione immatura: ipocondria, acting-out

Non controlla l’ansia di fronte alla novità

Non controlla l’espressività esplosiva (pagliacciate, manifestazioni chiassose)

Non sa difendersi dall’invasività del gruppo

Non riesce a sublimare le pulsioni interne

E’ incapace di rinunciare a desideri infantili di nutrimento

Dimostra un ipercontrollo sull’affettività (inibizione nei confronti dell’aggressività)

Presenta reazioni oggettuali intime dominate dal bisogno di dipendenza.

 

B - per difetto delle potenzialità affettive:

Non riesce a strutturare un modello affettivo valorativo

Di fronte all’ altro si ritira

Tende a disorganizzarsi di fronte al senso di colpa

E’ incapace di accettare inaspettate gratificazioni

Si mette costantemente in gioco

Non sa dare un giusto valore al proprio tempo

Sente di non meritare ciò che gli offrono

Non sa controllarsi di fronte a situazioni conflittive

Dimostra aspettative di sè eccessivamente alte

Manca di canali sublimatori affettivi evoluti come: altruismo e umorismo

Non riesce a stabilire rapporti interpersonali validi, ma solo relazioni superficiali e/o puramente concomitanti

Dimostra dipendenza normativa piuttosto che motivazionale

Manifesta onnipotenza nei confronti degli oggetti e degli altri che può portare all’insuccesso dei meccanismi di rimozione.

 

C - per deficit cognitivi:

Non cura gli oggetti per una finalità futura

Tende ad evaporare il proprio parere ed i contributi personali

Non trova efficienti controlli sostitutivi

Non ricorre ad immagini gratificanti già vissute

Non sa usare un adeguato realismo di fronte a regole e orari

Non sa valutare la realtà sociale

Non trae vantaggi e conclusioni dall’esperienza propria e dall’altrui

Non controlla reazioni di fronte a fallimenti, insuccessi ed errori

Non sa programmare realisticamente

Non sceglie gli strumenti adatti agli obiettivi

Non sa dimensionare il senso del proprio diritto

Non usa la coscienza per finalizzare il comportamento

Manca di canali sublimatori cognitivi come: intellettualizzazione, adeguamento alla tradizione.

Queste osservazioni, di contenuto psicodinamico, acquistano un particolare interesse non solo per quanto riguarda la problematica della diagnosi, ma anche nella valutazione globale della situazione personale e della qualità della vita del soggetto.

Molto spesso, prima della comparsa invasiva dei disturbi mnestici, possono essere messe in evidenza incontinenza emotiva, labilità dei mezzi critico-deduttivi ed incostanza o pauperizzazione affettiva che devono essere prese in considerazione come prodromi della malattia soprattutto se legate ad esperienze personali che riguardano il decadimento del senso di valore e dell’autostima.

Tenendo in conto che le modificazioni obiettive delle capacità cognitive sono di difficile quantificazione, le osservazioni psicodinamiche possono risultare importanti per valutare i cambiamenti indotti dalle terapie palliative ed anche da quelle farmacologiche.

Per esempio, per valutare i risultati benefici indotti dalla "Terapia di integrazione emotivo-affettiva" (E.I.T.), è stata usata la seguente scala:

 

VALUTAZIONE DELLE SEDUTE DI "E.I.T."

NOME

DATA

 

1

2

3

4

5

 

Ansietà libera ed incontrollata

         
 

Reazioni di tensione

         
 

Reazioni di rabbia

         
 

Difficoltà nelle relazioni interpersonali :

         
 

Con gli operatori

         
 

Con gli altri pazienti

         
 

Sentimenti di svalorizzazione

         
 

Predominio di risposte emotive

         
 

Critica oppositiva

         
 

Tendenza alla distrazione verborragica

         
 

Difficoltà a comprendere gli ordini

         
 

Spunti autistici

         
 

Esecuzione casuale degli ordini

         
 

Atteggiamenti fobico-ossessivi

         
 

Comportamenti ripetitivi controfobici

         
 

Risposte ecolaliche

         
 

Difficoltà ad eseguire comportamenti motori complessi

         
 

Adattamento superficiale ed incostante

         
 

Tendenza alla rinuncia

         
 

Tendenza alla fuga

         
 

Facile stancabilità

         
 

Sensi di paura

         
 

Sensi di angoscia

         
 

Linguaggio frammentario ed incoerente

         
 

Difficoltà nel contatto interpersonale

         
 

Difficoltà nel contatto corporale

         
 

Riduzione dell’attenzione

         
 

Riduzione della tenuta

         
 

Svalorizzazione di sè

         
 

Svalorizzazione degli altri

         
 

Tendenza all’isolamento

         
 

Tendenza a copiare gli altri

         

 

Con questo strumento si è potuto mettere in evidenza come l’uso di farmaci anti-colinesterasici (tipo eptastigmina) induca, in pazienti Alzheimer, modificazioni psicodinamiche importanti, che possono provocare errori di valutazione poichè l’elevarsi del "tono emotivo" o l’incremento della "partecipazione affettiva" portano a tensioni legate ad una migliore presa di coscienza della malattia o a ravvivare posizioni istintive e profonde di dipendenza e di opposizione agli oggetti interni primitivi.

Proprio in questi casi, l’osservazione delle dinamiche psichiche superficiali e/o profonde ha permesso di monitorare le reazioni e di contenerle attraverso l’intervento psicoterapico-integrativo senza l’utilizzo di farmaci psicodepressori e/o tranquillizzanti che avrebbero, sotto un certo profilo, mimetizzato e/o pauperizzato il beneficio indotto dagli anticolinesterasici.

La lettura psicodinamica della demenza non contrasta con una presa di coscienza neurobiologica di fronte a questi disturbi che, proprio per la loro complessità, al contrario, investono tutto l’insieme di quello che possiamo giustamente chiamare il "trait d’union" tra cervello e mente.

L’impostazione teorica della terapia di integrazione emotivo-affettiva (E.I.T.), seppure ponga le radici nella psicologia dell’ Io, ciò non di meno, tiene in conto quella lettura psico-biologica fondata sulle più recenti puntualizzazioni di neurofisiologia funzionale.

Le concezioni attuali della funzione cerebrale si focalizzano su grandi reti neuronali interconnesse che permettono un processing rapido e diffuso dell’imput sensoriale. Questo modello contrasta e supera organizzazioni neuro-cerebrali strutturate in forma sequenziale e gerarchica.

Il modello a rete presuppone sistemi neuronali multifocali che soppiantano i centri anatomicamente specifici, dando luogo, quindi, ad un "comportamento cerebrale" che risulta tanto localizzato quanto distribuito. Virtualmente tutte le "zone" della corteccia cerebrale (sensoriali, motorie,limbiche o di associazione), insieme a diverse strutture sottocorticali, risultano interconnesse e proiettano sul nucleo caudato e sul putamen.

In anni recenti è stato anche sottolineato il ruolo dei nuclei della base non solo nella funzione motoria, ma anche in quei circuiti che mediano funzioni cognitive ed emotivo-affettive.

Esistono per lo meno 5 circuiti paralleli che legano i nuclei della base con il talamo e con la corteccia (Ieffrey L. Cummings; Ramòn Leiguarda; in Atti del VIII Congreso Panamericano de neurologia, 1991):

- circuito motorio: definito dalle proiezioni che dalla corteccia motoria primaria e/o secondaria oltre che dalla corteccia somato-sensoriale raggiungono il putamen ed i nuclei talamici (ventrale laterale orale e anteriore) per arrivare nuovamente, completando il circuito, alla corteccia motoria supplementare. Questa proietta anche alla corteccia motoria e premotoria che dà origine al sistema piramidale.

Attraverso questo circuito, si mantiene una relazione tra sistema somatotopico ed organizzazione del movimento.

- circuito oculo-motore : definito da impulsi che provengono dai campi frontali oculari (area 8), dalla corteccia prefrontale dorsale (area 9-10) e parietale posteriore (area 7) per raggiungere la testa del nucleo caudato, la parte dorsomadiale del pallido e quella ventrolaterale della sostanza nigra. Il circuito raggiunge porzioni ventrali anteriori e medio-dorsali del talamo e poi, attraverso proiezioni talamo-corticali, il campo oculare frontale e oculare supplementare. Qui giungono anche proiezioni dalla retina e dalla corteccia striata.

- circuito prefrontale dorso-laterale : costituito da afferenze che dalla convessità prefrontale dorsale (area 9,10) arrivano al caudato dorsolaterale con proiezioni superposte a proiezioni dalla corteccia parietale posteriore(area 7) e dall’area premotoria arcuata. Il circuito raggiunge la parte dorso-mediale del pallido e quella retro-mediale della sostanza nigra, che proiettano all’area ventrale anteriore e dorso-mediale del talamo (parvocellulari). Le connessioni tornano poi alla regione prefrontale dorsolaterale.

- circuito laterale orbito-frontale : con afferenze dalla corteccia orbito frontale al caudato ventromediale che si superpongono ad afferenze delle aree di associazione uditiva e visiva provenienti dalla corteccia temporale superiore ed inferiore rispettivamente e che tornano alla corteccia orbito-frontale attraverso le proiezioni talamiche originate nei nuclei ventrale anteriore e mediodorsale magnicellulari.

- circuito limbico : è costituito da afferenze provenienti dall’ipotalamo, dall’amigdala e dalle aree corticali 28 e 35, che raggiungono lo striato ventrale superponendosi ad afferenze dalla regione cingolare anteriore (area 24) e dall’area temporale.

Il circuito raggiunge successivamente l’area cingolare anteriore e la corteccia orbito-frontale mediale passando per: il nucleo medio-dorsale del talamo, il nucleo acumbens, il caudato, il putamen ventrale, il tubercol olfattorio e i nuclei talamici mediali aspecifici. Questi ricevono anche proiezioni dal setto e dall’amigdala, aprendo così una via indiretta che lega queste strutture con il nucleus acumbens.

Queste spiegazioni neurofisiologiche ci danno un’idea non solo della complessità della "funzione neuronale cerebrale", ma aprono anche una finestra sul panorama della interrelazione tra funzioni neurofisiologiche ed implicazioni psicologico-psichiatriche. Basti ricordare che:

a) - lesione della corteccia prefrontale determinano:

  • sindrome della convessità frontale - caratterizzata da anormalità della programmazione motoria e della consequenzialità del comportamento con disordini cognitivi; disturbi nel "problem solving" e nella copiatura di figure complesse; difficoltà nell’astrazione e nell’uso di metafore. Quando la lesione si estende verso il polo anteriore si associano sintomi depressivi.

  • sindrome della corteccia orbito-frontale - con comportamenti disinibiti ed inappropriati, impulsività, volgarità e irritabilità.

  • sindrome medio-frontale - con acinesia ed apatia. Se la lesione è bilaterale compare anche mutismo e scontrosità.

b) - lesioni del caudato

Questo nucleo è il più importante tra i gangli della base per le sue proiezioni che lo legano alla corteccia dorsolaterale e prefrontale. La "malattia di Huntington" è la sindrome principale legata a lesioni di questo nucleo che, per altro, comportano: disturbi cognitivi, apatia, ansietà, confusione e depressione.

  • lesioni ventro-mediali inducono una sindrome caratterizzata da una disinibizione euforica;

  • lesioni dorsolaterali e ventro-mediali inducono quadri simili alla sindrome prefrontale;

  • lesioni bilaterali comportano impulsività, disinibizione e ritardo dell’evocazione mnestica;

  • lesioni unilaterali provocano sintomi come: quadri ossessivo-compulsivi, depressione e ipomania, apatia, confusione intermittente, alterazioni della personalità.

c) - lesioni del "globus pallidus" - provocano quadri simili a quelli derivati da lesioni frontali con apatia, acinesia, difficoltà dell’organizzazione sequenziale.

  • L’intossicazione con manganese determina lesioni pallidali con sintomi parkinsoniani, irritabilità e compulsività.

d) - lesioni talamiche

Il talamo riceve connessioni con moltissime strutture sottocorticali e corticali; sue lesioni inducono quadri simili a quelli osservati nell’interessamento dei gangli della base e della corteccia frontale.

La demnza conseguente a lesione bilaterale del talamo si caratterizza per i gravi disturbi della memoria tipici dei disordini frontali.

La nostra posizione psico-neuro-biologica tiene in conto appunto di questi fattori, di queste funzioni a rete o a ventaglio, che permettono sia una grande interrelazione-intercomunicazione, sia una enorme velocità di scambio, con possibilità incredibili di modificare, modulare, ricreare, bloccare, accentuare e, quindi, "significare" l’imput sensoriale a punto di partenza esterno e/o interno.

Il secondo aspetto che sottende alla nostra impostazione teorica sulle demenze è quello della plasticità cerebrale.

La complessità e la plasticità risultano i cardini per poter comprendere ciò che succede in seguito agli interventi terapeutico-palliativi e progettare future modalità per migliorare la situazione personale dei pazienti Alzheimer e la loro qualità di vita.

Il tema della plasticità si riferisce in special modo alle capacità di adattamento dell’organismo e/o di un organo ad alterazioni patologiche o a condizioni ambientali alterate. Per questa funzione, il cervello utilizza:

     

  • meccanismi che assicurano il recupero funzionale degli elementi lesionati o danneggiati e che configurano la cosiddetta plasticità. Questa, nella sua espressione più dimostrativa e forse anche efficace, è rappresentata dall’ingrandimento dell’albero dendritico che permette un aumento considerevole delle sinapsi neuronali;

  • sostituzioni funzionali quali, per esempio, le vie visive sottocorticali che possono rimpiazzare, anche parzialmente, quelle corticali danneggiate.

La plasticità permette quindi di riorganizzare meccanismi funzionali operando un adattamento e, in altre parole, assicura il normale fluire dell’informazione sensoriale, emotiva ed affettiva.

Per queste considerazioni, a nostro modo di vedere, la combinazione della terapia farmacologica con una terapia palliativa come l’ E.I.T. (terapia di integrazione emotivo-affettiva) permette una interazione tra recupero della funzionalità neuro-biologica (reti neuronali limbico-frontali) e ristrutturazione di dinamiche psico-mentali (l’ Io).

A questo punto, una lettura della sintomatologia della malattia di Alzheimer in chiave psicodinamica, come quella qui presentata, diventa uno strumento essenziale non solo per una puntualizzazione sui cambiamenti-miglioramenti, ma anche per modulare l’intervento farmacologico in tal maniera da permettere interventi che accompagnino le modificazioni dei livelli dell’acetilcolina con sottili controlli delle risposte emotive ed affettive.

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I disturbi autistici e regressivi colpiscono un numero abbastanza riguardevole di bambini e ragazzi dal momento che si manifestano come "reazioni" in molti portatori di altro handicap (down, x-fragili, insufficienti mentali) a causa della loro fragilità nella struttura dell’ Io.

Le esperienze personali nell’affrontare queste problematiche ed i periodici contatti con specialisti dell’ Argentina (psicoanalisti:Dr. Francisco Pierini, Dr. Jaime Pecheny, Dr Jorge Baruj ; Dr.a Cristina Narvaez, Dr.a Cristina Lucioni della Scuola di Psicodramma di Buenos Aires) hanno portato a strutturare le basi teoriche e l’impianto operativo dell’ E.I.T. nella sua forma definitiva e anche nelle esperienze iniziali indicate, a suo tempo, come "Terapia senso-motoria" e "Terapia emotivo-espressiva".

Su questi temi sono stati sviluppati diversi lavori così elencati:

  • Sviluppo della personalità su basi cognitive.

  • Le relazioni oggettuali primitive che contribuiscono alla formazione della figura genitoriale e all’integrazione dell’ Io.

  • Intelligenza razionale ed intelligenza affettiva.

  • Autismo ed ippoterapia.

  • Autismo come alterazione dello sviluppo primordiale dell’ Io.

  • Esperienze psicoterapico-educative nel C.F.P.I.L. di Varese.

 


 

A U T I S M O

Dott. Romeo Lucioni

Cos'è

È difficile parlare di autismo come di una malattia; si può più facilmente intenderlo come un disturbo dello sviluppo delle funzioni psico-mentali.

La sintomatologia viene, di solito, messa in evidenza intorno ai due anni (anche se le carenze potrebbero essere evidenziate prima), poi si manifesta come disturbo pervasivo dell’evoluzione che mette a repentaglio il funzionamento mentale ed anche quello socio-relazionale che è la capacità di interagire con gli altri.

Nella forma classica, l’autismo colpisce, in tutte le parti del mondo, 4-5 bambini su 10.000, ma, se si considerano le forme secondarie e/o di innesto, questo indice deve essere almeno raddoppiato, I maschi sono interessati quattro volte più delle femmine.

Come si manifesta

Sono i genitori che, per lo più, vengono insospettiti dall’osservare il figlio che evita di guardare negli occhi, che si ritira in se stesso per lunghi periodi, che non sorride e che, soprattutto, ha difficoltà nell’apprendimento del linguaggio.

Visto anche da vari medici il piccolo può anche essere indirizzato ad esami per escludere una sordità, fino al momento in cui qualche specialista darà il verdetto che porta con sé molto sgomento.

La caratteristica fondamentale del disturbo autistico resta comunque legata all’isolamento, all’impossibilità di "accettare" una compartecipazione socio-relazionale; i disordini comportamentali che risultano bizzarri e disturbanti, le urla, le attività motorie ripetitive e compulsive come dondolarsi, i manierismi più svariati ed inoltre, talvolta, anche ipecinesie irrefrenabili.

Aspetti particolari sono rappresentati da risposte anormali agli stimoli sensoriali che hanno anche portato ad essere interpretate come insensibilità al dolore, reazioni "catastrofiche" in risposta a stimoli come carezze, abbracci o semplicemente far passare una mano al di sopra del capo o porsi alle spalle del piccolo.

Le cause

Molto si è scritto sull’origine dell’autismo, ma poco è chiaro della patogenese; anche la denominazione più accettata di disturbo dello sviluppo psichico è vaga ed imprecisa. Forse il modello psico-neuro-biologico si avvicina di più a quanto si osserva; si tratterebbe di un disordine della mielinizzazione dei circuiti cerebrali, a causa del quale le percezioni risultano intollerabili e terrorifiche e il bambino tende ad isolarsi. Ne consegue un disturbo della formazione di quello che chiamiamo un "proto-IO" e una strutturazione di relazioni alterate con la figura della madre che impediscono il normale sviluppo dei processi emotivo-affettivi che stanno alla base della formazione della mente.

Il bisogno di isolamento, il ritirarsi in se stessi, l’impossibilità di relazionarsi con il mondo esterno diventano i motivi del mancato sviluppo della motricità, delle capacità ralazionali, del linguaggio, delle funzioni cognitive che restano così limitate a processi istintivi, automatici e primitivi.

Accettare questa sindrome come disturbo dello sviluppo psico-mentale ci permette di spiegare l’enorme variabilità della casistica che passa da un "atteggiamento" che non impedisce lo sviluppo affettivo ed intellettivo a casi in cui i disturbi comportamentali sono veramente disturbanti e si trasformano in un vero e proprio handicap.

Cure possibili

Affrontare l’autismo è, prima di tutto, un problema di diagnosi precoce. Anche il solo sospetto di trovarsi di fronte ad un problema di disturbo dello sviluppo (ancor più se si tratta di un maschietto) dovrebbe far scattare subito, sin dai due anni un intervento di sostegno e di terapia; i ritardi sono sempre terribilmente dannosi soprattutto per la prognosi.

Seppure vengano sottolineati gli insuccessi della psicoterapia e gli errori di una impostazione teorica troppo psicoanalitica, la psicoterapia-educativa fortemente relazionale resta il metodo terapeutico migliore e quello che porta a risultati veramente importanti. L’intervento deve essere globale, che aiuta cioè lo sviluppo percettivo-motorio e quello emotivo-affettivo per avviare alla strutturazione di capacità relazionali e di modalità analitico-deduttive come presupposto di una cognitività non più istintiva e prelogica (centrata sul "senso"), ma razionale e simbolica (basata sul "significato").

In questi ultimi anni sono state sviluppate le cosiddette "tecniche cognitive", basate sulle scienze comportamentali e considerate riduttive dalle scienze psicodinamiche e psicoanalitiche.

Risolvere la diatriba non è facile, ma il lavoro di ricerca psicodinamica e neuro-biologica ci ha portato ad evidenziare che:

  • Prima di ogni altra cosa, bisogna comprendere le emozioni, i sentimenti, la ricchezza di ogni singolo piccolo paziente;

  • Le emozioni e, soprattutto, la strutturazione della vita affettiva basata sui sentimenti è l’ unico cammino che porta a sviluppare le attività mentali.

Queste osservazioni possono essere riassunte in un’unica frase:

"curare l’autismo è possibile".

Cosa ci insegna

Ci sono molti modi di comunicare al di là del linguaggio verbale, importante è il linguaggio emotivo (quello che "arriva dritto al cuore").

La scoperta delle possibilità di sovrapporre comunicazione a linguaggio porta alla rivoluzionaria coscienza che non è tanto importante cosa si dica, ma come lo si dice. In questo modo è evidente che scopriamo dinamiche linguistiche nelle quali anche il silenzio è una vera comunicazione ed una mano protesa non è solo un invito, ma anche una proposta che può essere accettata o rifiutata, che può risultare la apertura di un dialogo così come succede quando si sta seduti uno di fronte all’altro per "farsi vedere e per guardarsi".

Privilegiare l’individualità è anche un invito a pensare con la propria testa, ad accettarsi per quello che siamo, con i nostri pregi ed i nostri difetti che, per altro, sono solo il frutto di un giudizio preconcetto e legato a leggi, più o meno tradizionali, ma che non rispettano mai la "verità" che è solo frutto della nostra mente e, soprattutto, del nostro cuore; cioè della nostra intelligenza cognitiva, ma anche, soprattutto, del nostro cervello emotivo e della nostra intelligenza affettiva.

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