Walter Bosshard nasce l'8 Novembre del 1892 a Samstagern, nel comune di Richterswil, a pochi chilometri a sud-est di Zurigo.
È il più giovane di quattro figli di Heinrich, di professione contadino, e di Barbara Elisa Rusterholz. Studia alle scuole locali e in seguito all'Istituto magistrale del Seminario di Küsnacht. Nel 1912 s'iscrive all'Università di Zurigo dove frequenta i corsi di Pedagogia e Storia dell'Arte che affronta, sin dall'inizio, con uno specifico interesse volto alla conoscenza pratica e concreta delle opere che studia.

La notizia dello scoppio della Prima Guerra Mondiale interrompe il soggiorno di studio a Firenze. Durante la mobilitazione, divide il servizio militare -prestato probabilmente al Monte Ceneri- con l'insegnamento alla Scuola elementare di Feldmeilen, nei pressi di Zurigo.

Utilizza il tempo libero per accrescere da autodidatta le sue conoscenze artistiche e letterarie. Finito il conflitto, Bosshard trova lavoro come agente commerciale in Estremo Oriente. I suoi interessi sono diversificati e gli permettono di viaggiare parecchio: fra le diverse attività che avrà modo di svolgere per oltre una decina d'anni, vi è anche la direzione di un'impresa di estrazione della gomma nell'Isola di Sumatra, e -in seguito- d'una società di preziosi a Giava. La passione per la fotografia, che gli deriva dal desiderio di documentare visivamente i suoi viaggi, lo spinge a perfezionare intorno alla metà degli anni '20 le sue conoscenze tecniche in materia: fondamentale è, in tal senso, il lavoro che svolge nel 1925 come assistente di Herbert Ruedi, titolare di un negozio di fotografia in Via Nassa a Lugano, che era impegnato nel completamento di un libro sulla Roma cristiana che sarà pubblicato a Ginevra nel 1926, in edizione francese e in edizione tedesca, con i testi di Georges Goyau e la supervisione storica e archeologica di Henry Chéramy. Anche se non abbiamo modo di documentarlo, ci appare del tutto verosimile che sia stato il fotografo luganese, autore di una guida pratica sull'argomento (1934) a consigliare e indirizzare Bosshard verso l'uso di una pratica Leica, fotocamera messa in commercio dal 1925, che costituiva allora una novità pressoché assoluta. Un'importante occasione, che gli consente di perfezionare i caratteri della sua visione e le tecniche, allora ancora piuttosto complesse e delicate, necessarie allo sviluppo e alla stampa dei negativi sul campo, è offerta a Bosshard dal fortunato incontro avuto a Peshawar, in Afghanistan, con il geografo tedesco Emil Trinkler (1896-1931), già autore di una conosciuta pubblicazione sul Tibet (1922), che sta a quel tempo preparando insieme al geologo Hellmut de Terra una spedizione verso l'Altopiano tibetano e il Bacino del Tarim. Bosshard riuscirà ad aggregarsi al gruppo in qualità di responsabile della logistica della carovana e, in modo complementare, di fotografo addetto alla documentazione del lavoro. La spedizione ha luogo fra il 1927 e il 1928 ed è ricca di risultati scientifici che saranno documentati da due importanti volumi curati dopo la morte del capospedizione dalla sua vedova Ilse e da Günther Köhler (De Terra, 1932; Trinkler, 1932) e accolti con soddisfazione dagli studiosi del tempo (Harrison, 1933; Morris, 1933a). Alla fine del lungo viaggio, che dura un anno e mezzo, Bosshard risiede per quattro mesi a Kashgar, antico caravanserraglio lungo la Via della seta e mette in ordine la grande quantità di fotografie che ha avuto la possibilità di eseguire. Molti degli scatti si soffermano a ritrarre i tratti culturali e i volti delle popolazioni incontrate durante il tragitto e in essi è già chiara l'impostazione di fondo che contraddistinguerà poi, negli anni seguenti, il lavoro del fotografo. Oltre che per le illustrazioni che corredano i due volumi sopra ricordati, Bosshard adopera le fotografie del suo reportage per la stesura di un resoconto dei risultati botanici della spedizione (1932), per pubblicazione di alcuni articoli illustrati per giornali e riviste, fra le quali «Atlantis», «Vu», «Berliner Illustrierte Zeitung», «Schweizer Illustrierte Zeitung», «Neue Zürcher Zeitung» (Pfrunder, Münzer & Hürlimann, 1997: 236) e «National Geographic» (1931) e, soprattutto, per realizzare il primo dei suoi otto volumi di viaggio, che esce a Stoccarda nel 1930 col titolo Durch Tibet und Turkestan. Reisen im unberührten Asien e che sarà tradotto e pubblicato due anni dopo in inglese. Lo stile narrativo di Bosshard, sin dai sui esordi, è ben delineato e non avrà sostanziali modifiche nel corso degli anni. Si tratta di una prosa asciutta, che predilige la prima persona e cerca di estraniarsi dal giudizio sui fatti che racconta, anche facendo ricorso alle citazioni che, spesso, trae da documenti del tempo. I libri di Bosshard sono, come scritto in una recensione apparsa nel «The Geographical Journal» (Morris, 1933b), «diaries with pen and camera» nei quali l'Autore rimane sul punto, estendendo un po' alla volta l'orizzonte narrativo (e visivo), senza correre il rischio di scivolare in interpretazioni che presuppongono elementi che vanno al di là dell'immediato presente. L'impressione che ne ha il lettore è che si tratti di un racconto privato, o scritto per pochi amici, che l'Autore mette a disposizione del pubblico più vasto, senza troppi rimaneggiamenti, per mantenerne intatta la freschezza e la presa diretta con le esperienze e i fatti narrati. Trovata la porta professionale giusta, Bosshard entra senza ripensamenti nelle stanze del più prestigioso fotogiornalismo, facendosi sempre più apprezzare per i suoi lavori puntuali e ben documentati. A partire dagli inizi degli anni Trenta, diviene, a pieno titolo, uno dei fotoreporter più ricercati dalle massime testate giornalistiche di lingua tedesca, con alcune delle quali, e in particolare con la «Neue Zürcher Zeitung», stringerà un rapporto di collaborazione che durerà sino alla fine della sua attività. Sono gli anni in cui il fotogiornalismo conosce il suo maggiore sviluppo e costituisce una forte novità nell'ambito dell'informazione scritta e visiva: Bosshard ripercorre puntualmente le tappe di questa prima èra, tanto da configurarsi come un vero e proprio «pioniere» esemplare di questa avventura culturale: infatti, come altri autori, arriva al fotoreportage dopo altre esperienze professionali (pensiamo qui -ad esempio- ad Alfred Eisenstaed ed Erich Salomon), si associa alle prime e più importanti agenzie fotografiche e sperimenta -non da ultimo- le questioni etiche e politiche legate al controllo delle informazioni e alla censura. Nel Marzo del 1930, per conto dell'agenzia «Dephot» (Deutscher Photodienst) di Berlino e della «Münchener Illustrierte Presse» si reca in India per documentare la celebre «Marcia del sale» e la protesta non violenta contro il monopolio inglese delle merci. Di Gandhi e dell'India del suo tempo, Bosshard restituirà un ritratto straordinario che, da una parte ha creato l'icona con la quale il Mahatma è entrato nella memoria collettiva dell'umanità e dall'altra oltrepassa gli stereotipi neoclassicisti e romantici del British Raj, presentando l'India sotto molteplici, contrastanti e spesso impensati, aspetti. Durante il suo soggiorno che si protrae per molti mesi, scrive una trentina di articoli, alcuni dei quali mai pubblicati, che utilizzerà poi come materiale di partenza per la scrittura del suo secondo libro di viaggio Indien kämpft! (1931). L'obiettivo sotteso del volume è quello d'informare il lettore sulla natura della lotta politica allora in corso. A parlare sono, attraverso di lui, alcuni importanti esponenti politici del tempo, fra i quali Nehru, la signora Naidu, Lord Irwin e, naturalmente Gandhi, di cui traccia chiaramente fra le righe il profilo di un astuto uomo politico più che quello di un mistico. Nell'Ottobre 1930, insieme all'americano William Shirer e all'austriaco Harald P. Lechenperg, è fra i tre fotoreporter chiamati all'incoronazione di Mohammad Nadir Khan a nuovo re dell'Afghanistan, quindi riprende a viaggiare senza sostaper l'Europa e, soprattutto, per l'Oriente, in pratica senza una vera e propria soluzione di continuità sino al 1933. In tre anni i suoi reportage lo conducono in Siam, in Cambogia, nell'Indocina francese (Laos) e in Annam (Vietnam). Nel 1931 incontra a Nanchino il maresciallo Chiang Kai-shek e alla fine dell'anno documenta la guerra sino-giapponese in Manciuria e a Shanghai. Nel 1932 è a Singapore, a Bangkok, nelle Filippine e in Giappone. Fra i reportage più importanti che realizza in quel periodo ricordiamo quello relativo al viaggio del celebre dirigibile Zeppelin LZ127 che, dal 24 al 31 Luglio del 1931, tenta con successo la trasvolata artica. I diritti del suo servizio sono acquistati in esclusiva dalla Ullstein-Verlag di Vienna e dalla «Berliner Illustrierte Presse» dando all'evento un'enorme diffusione mediatica. Nel 1933, Bosshard entra inoltre a far parte di una delle più importanti agenzie fotografiche dell'epoca, la Black Star, fondata a New York dagli esuli ebrei tedeschi Ernest Mayer, Kurt Safranski e Kurt Kornfeld, che contribuirà in modo decisivo al successo editoriale della rivista americana di maggior tiratura all'epoca, «Life», fondata da Henri R. Luce, il 26 Novembre del 1936. Fra i collaboratori della Black Star, troviamo in quegli stessi anni i maggiori nomi del fotogiornalismo mondiale fra i quali Martin Munkácsi, William Eugene Smith, Bill Brandt, Robert Capa e Henri Cartier-Bresson: questi ultimi due più noti in seguito per aver fondato nel 1948 l'agenzia indipendente Magnum. Fra il 1933 e il 1939, Bosshard risiede per lo più in Cina, a Peiping e in altre città, in cui fa base per muoversi periodicamente verso altre destinazioni. Nel 1933 partecipa alla spedizione scientifica tedesca nel Koko Nor, regione del Nordest del Tibet, che è raggiunta risalendo verso le sorgenti dello Yang-Tze. Nel Marzo 1934 assiste all'incoronazione di Pu-yi, l'ultimo discendente della dinastia dei Ch'ing, a capo del Manchukuo, lo stato fantoccio della Manciuria occupata dalle forze giapponesi. Fra il 1934 e il 1936 compie una serie di viaggi nella regione cinese di Rehe, al di là della Grande Muraglia, e in Mongolia. Il suo incontro con le culture nomadi e con i paesaggi senza fine di quella parte dell'Asia centrale segna una tappa fondamentale per l'evoluzione del suo linguaggio fotografico che si arricchisce di note espressive capaci di coniugare l'immediatezza «storica» del suo sguardo con l'essenzialità dei tratti del paesaggio e delle forme del quotidiano. Ne scaturisce una fotografia scarna e luminosa, fatta di linee semplici e di contrasti decisi fra la luce e l'ombra, che sembra fatta apposta per descrivere i caratteri della vita dei popoli delle steppe. Di un certo interesse, per lo studio della ricerca visiva di Bosshard sono anche i due documentari cinematografici in 16 mm, di 15 minuti ciascuno, intitolati Mongolei, montati nel 1936 con le riprese fatte durante gli anni precedenti, cui seguiranno, sino al 1938, tredici altri cortometraggi, tutti girati in Cina, in Manciuria e in Indocina (cfr. Pfrunder, Münzer & Hürlimann, 1997:237) e otto altri girati negli anni seguenti, sino al 1954. Fra il 1937 e il 1939, Bosshard documenta le fasi della guerra sino-giapponese e assiste alla nascita delle forze politiche e sociali che animeranno nel decennio successivo la storia della Cina. I suoi reportage costituiscono, in tal senso, uno dei contributi di maggiore autorevolezza di quel tempo segnato in Europa dall'affermazione dei regimi totalitari e dalla comparsa sulla scena di tragici venti di guerra. Sempre in Cina, grazie anche alle sue conoscenze e alla sua abilità diplomatica, Bosshard riesce nell'impresa eccezionale di fotografare, nel suo quartiere generale di Yenan, il giovane Mao Tse-tung, a capo dell'esercito comunista. Il servizio, pubblicato da «Life» nell'edizione del 9 Agosto 1938 col titolo China's Blue-Clad Reds Harry Japan. From Faraway Yenan they rule North China, consacra Bosshard che, dopo Gandhi, aggiunge un altro protagonista al suo portfolio d'icone del mondo moderno. Nello stesso anno pubblica a Berlino il suo terzo libro di viaggio, forse il più bello, sicuramente quello che riscuoterà il maggiore successo di pubblico, Kühles Grasland Mongolei, ripubblicato in lingua tedesca sino al 1954 e tradotto in seguito in francese e in svedese. Il volume racconta dell'incontro di Bosshard col Principe Tê (Te Wang), il leader del movimento di resistenza della Mongolia interna e della visita alla città di Pai-ling Miao, dove il governo autonomista è per un breve tempo insediato. Il registro della narrazione del volume si muove, in modo tutto sommato equilibrato, fra due esigenze diverse: da una parte descrive il fascino e la bellezza dei paesaggi luminosi delle praterie mongole e della sua gente ospitale; dall'altra offre un resoconto giornalistico delle ingerenze e della progressiva occupazione giapponese in Manciuria che è osteggiata dai mongoli che preferirebbero rimanere fedeli al governo cinese, ma che al tempo del suo ultimo viaggio è cosa fatta, con un funesto corollario di conseguenze per la popolazione locale. Nel 1939 Bosshard torna in Europa, per lavorare come corrispondente di guerra per la «Neue Zürcher Zeitung». È inviato prima nei Balcani e poi in Medio Oriente. Scrive dalla Polonia, dalla Romania, dall'Albania, dalla Grecia, dalla Turchia, dall'Irak e dall'Iran. Nel corso del suo lavoro si scontra però con una serie di condizionamenti che sono per lui sostanzialmente nuovi e patisce un doppio isolamento: da una parte l'essere il cronista d'un paese neutrale, non gli permette di superare la diffidenza e l'isolamento che gli procurano gli alleati inglesi e americani, tanto più a ragione della sua lingua madre tedesca; dall'altra parte il suo abito ideologico di documentare le cose per quello che sono si scontra con il desiderio dei belligeranti di ambedue le parti di utilizzare le informazioni a scopi di propaganda. Nel 1941, utilizzando un pretesto, «Life» lo allontana, preferendo da quel momento affidarsi in toto al servizio di informazioni britannico e ai fotografi a seguito dell'esercito. Bosshard decide di conseguenza di riprendere la strada dell'Oriente e, dopo aver fatto sosta in Egitto e in India, ritorna in Cina, per documentare la resistenza del Kuomintang ai giapponesi a Chungking. Nel 1942 si trasferisce negli Stati Uniti, dove lavora come corrispondente della «Neue Zürcher Zeitung» a Washington, seguendo da quel punto di vista la seconda parte del conflitto e, in seguito, lo svolgimento delle grandi conferenze internazionali di San Francisco, di Bretton Woods, di Dumbarton Oaks e la costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che ridisegnano il volto geopolitico del mondo all'indomani della guerra. Nel 1947, Bosshard ritorna in Cina e, riprendendo i passati contatti, ha modo di seguire da vicino l'evolversi dei fatti che portano all'affermazione politica e militare del Partito Comunista Cinese. In quello stesso anno raccoglie organicamente le sue esperienze degli anni di guerra nel volume intitolato Erlebte Weltgeschichte. Reisen und Begegnungen eines neutralen Berichterstatters im Weltkrieg 1939-1945, che è subito tradotto in francese dalla Librerie Payot di Losanna (cfr. Bosshard, 1947). Nelle fasi convulse che, all'inizio del 1949, portano alla marcia su Pechino, Bosshard è costretto a lasciare la Cina, perdendo una parte importante del suo archivio fotografico e cartaceo. Il ritorno in Europa è però solo momentaneo e ben presto Bosshard torna al suo mestiere di sempre di roving correspondent, in perenne movimento fra una nazione e l'altra. Dal 1950 al 1953 percorre in lungo e in largo tutto lo scacchiere asiatico e mediorientale, per seguire da vicino, sempre per conto della «Neue Zürcher Zeitung», gli avvenimenti più importanti del tempo. Lo troviamo più volte in Corea, dove nel frattempo è scoppiata la guerra, in Indocina, in Cina, a Taiwan, in Giappone, in Iraq, in Iran, in Egitto e in Sudan. Nell'Ottobre del 1953, mentre si trova a Panmunjong, in Corea, inciampa bruscamente in una radice e subisce una grave lesione dell'anca, che lo terrà per lungo tempo lontano dall'azione, e da cui non si riprenderà mai completamente, mettendo così praticamente fine alla sua lunga e brillante carriera di corrispondente estero. Nel 1954 pubblica una raccolta di scritti e di testimonianze sul Medio Oriente che esce in Svizzera col titolo Gefahrenherd der Welt: Der Mittlere Osten e in Germania con quello di Generale, Könige, Rebellen. Weltgefahr im Mittleren Osten L'anno seguente il volume è tradotto in olandese col titolo Conflict en intrige in het Nabije Oosten. Nel 1956 Bosshard chiederà il prepensionamento che gli sarà concesso a partire dal 1957. Gli ultimi quindici anni della sua vita sono divisi tra lo chalet di Grimentz nella Val d'Anniviers, dove trascorre l'estate e i lunghi soggiorni invernali nel sud della Spagna. Fra il 1959 e il 1962, raccoglie i suoi ricordi e scrive gli ultimi due libri. Tuth. Geschichte aus dem Sudan, del 1960, è una riflessione sui difficili processi di decolonizzazione dell'Africa, condotta con un atteggiamento mentale e letterario più meditato che lascia trasparire, in qualche passo, il valore dell'analisi dei fatti nella loro prospettiva storica. Im goldenen Sand von Asswan, del 1962, è invece un'originale raccolta di dialoghi e di racconti ambientati in un lussuoso albergo egiziano che attualizza e riprende a modo suo l'idea della registrazione
letteraria dei fatti e della memoria collettiva dei diwan dei primi secoli della civiltà araba. Walter Bosshard si spegne il 18 Novembre 1975 a Torremolinos, una decina di giorni dopo il suo ottantatreesimo compleanno.



This show of work by Walter Bosshard marks the Museo delle Culture’s successful attainment of various aims: some of these, we believe, are also useful for a more general meditation on cultural politics and it is worthwhile pointing them out here. The first, and perhaps most important, is the strengthening of the overall aim of “Esovisioni”, in other words of how the meanings and values of exotic photography were revealed, in all their vigour, in a crucial moment of the contemporary world’s cultural life: the first sixty years of the twentieth century. This is an aim shared by both the Museo delle Culture and the Fotostiftung Schweiz and which slowly but surely is tracing out a map of the ways in which the West has looked at (and judged) Others. After the sunny and cool view of Maraini and the latent eroticism of paradise as imagined by Schuh, here we are now in front of the detached vision of Bosshard and his attempt at restoring a living world to us. And each vision, in the special way offered to us by great photography, becomes both the possibility for exploring the outlines of a work of art and the pretext for understanding the anthropological mechanisms for constructing reality: truly a binomial of intriguing aesthetic and intellectual beauty, analysed from various points of view with competence and insight in the various essays in the exhibition catalogue. But, as was said earlier, the value of this research is to be found in its various aims. A second interest, one that is particularly dear to us, is that of having involved the whole territory. I am, above all, speaking of both the young researchers involved in the project who, thanks to “Esovisioni”, have available a forum where they can measure themselves against some of the most expert specialists in this field, as well as those academic and cultural institutions which have discovered in the aims of the Museo delle Culture a specific field of interest which they have then included in their study programmes. I’m thinking in particular of the Master in Technology-Enhanced Communication for the Cultural Heritage awarded by the university of Italian Switzerland, the graduate course in Cultural Sciences and Activities at the university of Insubria, the pedagogical high school, the school for hotel and tourism studies and, last but not least, the professional university school in Italian Switzerland where the history of photography has been taught by, among others, Gian Franco Ragno, a young man who has collaborated on the project from the very beginning and who has contributed to all the three volumes published so far. The third aim achieved by “Esovisioni” is to allow the public or, rather, “publics” a clear, well-argued, and authoritative investigation that can also, at the same time, be an attractive cultural proposal. The exploration of exoticism is the outcome of an original project that has been planned and undertaken on a most exacting scientific level but that has also been conceived of, from the very beginning, as being divulgated as widely as possible. The research, then, feeds the exhibition, and the exhibition is mounted in such a way as to be read on various levels; it can be enjoyed as much by the visitor in a hurry as by the aesthete wishing to appreciate, at a phenomenological level, the emotional impact of the photographic narrative; it can be appreciated by a scientist wishing On behalf of the Municipality of Lugano


Giovanna Masoni Brenni

Head of the Department of Cultural Affairs
Lugano


L’esposizione dedicata all’opera di Walter Bosshard segna il raggiungimento di diversi obiettivi del Museo delle Culture; alcuni di questi hanno a nostro avviso anche rilevanza per una riflessione più generale sulle politiche culturali, e vale la pena che siano qui sottolineati. Il primo – forse il più importante – è il consolidamento del progetto scientifico di «Esovisioni» e cioè della sua ricerca dei significati e dei valori della fotografia dell’esotismo, come si sono mostrati in tutto il loro vigore in quel momento cruciale della vita culturale del mondo contemporaneo che sono stati i primi sessant’anni del Novecento. Un progetto che il Museo delle Culture condivide con la Fotostiftung Schweiz e che sta un po’ alla volta disegnando una vera e propria «mappa» dei modi in cui l’Occidente ha guardato (e giudicato) l’Altro. Dopo la visione solare e disincantata di Maraini e l’erotismo sotteso nel paradiso immaginato da Schuh, eccoci adesso al distacco di Bosshard e al suo tentativo di restituirci il mondo in presa diretta. E ogni visione, nelle peculiarità offerteci dalla grande fotografia, diviene sia la possibilità d’esplorare i contorni di un oggetto d’arte sia il pretesto per approfondire i meccanismi antropologici di costruzione delle realtà: davvero un binomio d’intrigante bellezza estetica e intellettuale, analizzato da una molteplicità di aspetti diversi, con competenza e acume, negli articoli ospitati dai cataloghi che corredano le esposizioni. Il valore della ricerca, dicevamo, non il solo obiettivo centrato dal progetto. Un secondo – che ci sta particolarmente a cuore – è quello d’avere reso partecipe a tutti i livelli il territorio. E parlo innanzitutto dei giovani ricercatori coinvolti nella ricerca che, grazie a «Esovisioni», hanno a disposizione una piattafor- ma sulla quale confrontarsi con alcuni dei massimi specialisti della materia, ma anche delle istituzioni accademiche e culturali che hanno trovato nella ricerca del Museo delle Culture un oggetto d’interesse specifico, e lo hanno inserito fra gli argomenti trattati in alcuni programmi di studio. Penso qui al Master in Technology-Enhanced Communication for Cultural Heritage dell’Università della Svizzera italiana, al corso di laurea di Scienze dei Beni e delle Attività Culturali dell’Università degli Studi dell’Insubria, all’Alta Scuola Pedagogica, alla Scuola Superiore Alberghiera e del Turismo e, non ultima, alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera italiana, dove l’insegnamento di Storia della Fotografia è stato, fra l’altro, affidato a Gian Franco Ragno, un giovane che ha collaborato sin dall’inizio al progetto e che ha contribuito a tutti e tre i volumi sinora pubblicati. Il terzo obiettivo raggiunto da «Esovisioni» è quello di mettere a disposizione del pubblico o, forse meglio dire, «dei pubblici », un’indagine chiara, argomentata e autorevole, capace però – al contempo – d’essere una proposta culturale accattivante. L’esplorazione dell’esotismo è il risultato di un progetto originale che è programmato e condotto al più alto livello scientifico, ma è immaginato, sin dal suo costituirsi, per essere divulgato nel senso più ampio. La ricerca alimenta l’esposizione e l’esposizione è realizzata per essere letta con diversi livelli d’approfondimento; ed è fruibile tanto per il visitatore frettoloso o per l’esteta che vuol cogliere fenomenologicamente l’impatto emotivo della narrazione fotografica, quanto per lo scienziato interessato a scoprire il rilievo dei documenti che, il più delle volte, tornano alla luce, e sono leggibili da diverse ottiche

Giovanna Masoni Brenni

Per il Municipio di Lugano
Giovanna Masoni Brenni
Capo Dicastero Attività Culturali


Museo delle Culture - Lugano

Museo delle Culture,
Lugano, Switzerland


L’India al tempo di Gandhi

Fotografie di Walter Bosshard


24.11.2007 - 30.3.2008

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updated 16.11.23



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