PRINCIPALI
TEMATICHE
Helden
Gli Helden (Eroi) del 1965-1966, al tempo stesso figure e anti-figure del
periodo, giovani anti-eroi dai capelli lunghi e dall'espressione ebete,
vestiti di abiti laceri, spesso con la patta aperta e falli ostentati, hanno
origini letterarie e traducono la situazione post-rivoluzionaria sovietica.
Queste effigi monumentali, generosamente abbozzate, piantate al centro della
tela beneficiano di una pittura assai diretta, di potente espressività, che
unisce la superficie e il contorno, oppone il colore vivace al nero, alterna
il positivo e il negativo. Colpiscono per l'autorità del tratto, per la
linea agile che assicura la coesione e per la viva innervazione della
composizione cromatica, quasi si trattasse di un disegno dipinto. Immobili,
seduti o in marcia, questi rivoluzionari, eccentrici o pionieri, che
presidiano paesaggi desolati portano di volta in volta il titolo di amico,
pastore, eroe, uomo nuovo, partigiano pittore, personaggio esotico, ribelle,
il Rosso, il Verde, vivono tra ieri e domani, in un mondo frammentario.
Frakturbilder
Derivati per scissione dagli Helden del 1966, i Frakturbilder (Dipinti
fratturati) appartengono al periodo in cui Baselitz, prima di operare il
capovolgimento dell'immagine, esplora il potenziale della dissociazione,
della deriva, del raddoppiamento degli elementi plastici. Le fratture sono
un freno alla leggibilità dell'immagine, che tuttavia resiste. Le opere di
questa serie sono eseguite con una larga pennellata dalle colorazioni spesso
dense e luminose dominate dal marrone, dal verde e dal blu, dove il gioco
delle linee di contorno è chiamato a organizzare senza invadenza il
continuum delle grandi zone di colore. Soggetti campestri o boschivi,
operai, cani o bovini, trattati in registri addizionali come parti
discontinue di un patchwork, i Frakturbilder sono collegati all'eredità
cubista e alle sue sfaccettature, ma anche alla tecnica del collage. Se
filosoficamente mettono alla prova il tempo con rotture del campo
figurativo, essi rispondono innanzitutto al bisogno di sganciare l'immagine
da ogni comoda adesione alla rappresentazione diligente e plausibile,
rinviandola alla problematica dell'organizzazione e della divisione della
superficie. L'immagine non imita: essa è.
Il capovolgimento
Dopo aver trascorso circa tre anni intento a destrutturare l'organicità
della figura, nel 1969 Baselitz opera il decisivo passo verso
l'emancipazione della rappresentazione dal suo contenuto attraverso il
capovolgimento dell'immagine, non a lavoro ultimato - gesto che fu
fondamentale nel percorso verso l'astrazione compiuto da Kandiskij - bensì
elaborando direttamente, a terra, i propri soggetti a testa in giù. Con
questo gesto di indubbia portata eversiva, che ha lasciato una traccia
indelebile nella storia dell'arte del secondo Novecento, Baselitz sgancia
definitivamente la pittura figurativa dal dato reale costringendo il motivo
in uno spazio prospettico nuovo, estraniante. I primi quadri capovolti sono
ritratti di familiari, paesaggi boschivi, volatili, ecc. L'effetto iniziale
è un ritorno al realismo forse dovuto all'impiego della fotografia, supporto
a cui Baselitz farà ampiamente ricorso, lavorando a partire non da modelli,
bensì da immagini (siano esse altri dipinti oppure, appunto, fotografie).
Successivamente nella pittura con le dita otterrà opere più dolci, più
complesse anche nella materia pigmentata e nel modellato.
Das Motiv
"I motivi che uso - la mano, la casa, la sedia - in realtà appartengono alla
sfera intima". Nei dipinti realizzati tra il 1987 e il 1989 questi oggetti
familiari guadagnano in autonomia, si trasformano, si diversificano,
diventando appunto Motiv, motivi, oggetti adatti a una vera e propria
attivazione della superficie del quadro, atti a lanciare la battaglia della
pittura o del disegno a pastello. Come precisa Baselitz nel suo Das Rüstzeug
der Maler (1985): "nessun pittore va in cerca di motivi, sarebbe un
paradosso, perché il motivo è nella testa del pittore, meccanismo pensante".
Il motivo è dunque determinante sul piano pittorico e solo accessoriamente
per il suo significato. Quando Baselitz racchiude il proprio motivo in una
rete, lo adagia su un graticcio, quando lo appoggia a un albero è per
associare la figura al fondo, con la medesima consapevolezza di Cézanne che
esclama "ho il mio tema", sapendo bene che senza il filo di una costruzione
che glielo riconduca, tutto fuggirebbe.
La scultura
"Scolpire è un atto molto violento, aggressivo" confessa Baselitz, e infatti
lo sforzo fisico imposto dalla realizzazione di una scultura fa sì che, a
partire dal 1979, l'artista non pratichi che di tanto in tanto quest'arte
poco speculativa, che affonda senza rimedio nel reale e dà voce a una sorta
di energia primitiva fuori da ogni regola. Le sue figure evocano di volta in
volta un totem delle arti primitive, un idolo germanico esumato dalla torba
o un essere sbalordito quale si potrebbe trovare in Munch. Gli strumenti che
utilizza generano una scrittura rustica fatta di schegge, slittamenti,
spigoli, che danno vita a una "pelle" dalla materialità rugosa, selvaggia,
che cattura la luce, sulla quale il colore applicato segna ombre, contrasti,
accenti acuminati, zone sbozzate o sottolineature ben disegnate.
La pittura degli anni
novanta
Dopo il 1995 nella pittura di Baselitz fanno irruzione sia modi pittorici
sia programmi iconografici suscitati dall'insorgere di ricordi legati al suo
vissuto, alla storia della cerchia dei familiari o degli amici.
L'immaginario dell'artista irrompe sulle tele con una fluidità
inarrestabile, dovuta all'utilizzazione di un impasto pittorico estremamente
diluito e a un trattamento della composizione che ha più a vedere con il
disegno. All'interno delle tele, assieme alle figure appena tracciate, entro
fondi sommariamente definiti con larghe stesure di colore, si osservano
cerchi dovuti a impronte di barattoli di colore, macchie di sgocciolamenti,
impronte di scarpe che indicano in che modo l'artista lavori i suoi dipinti,
stesi sul pavimento dello studio. Baselitz fissa, annota, fotografa le
immagini che affluiscono alla sua mente con la straordinaria libertà di un
artista giunto alla piena consapevolezza dei suoi mezzi espressivi e
pertanto ancora più spregiudicato. Realizza anche dipinti di argomento
storico, caustici e disillusi, ispirati al realismo sovietico, in cui
sperimenta invenzioni formali che non disdegnano il grottesco e la
caricatura come in Anxiety I (Korzev) oppure Lenin beim Telegraphen (Grabar)
e Lovers (Korzev) - postpop, divagazioni pseudopointilliste.
Cowboys
Tra il 2002 e il 2003 Baselitz rielabora l'iconografia originale dei Cowboys
partendo dall'opera dell'artista del Far West per antonomasia, il
danese-americano Olaf Wieghorst. Il motivo del cowboy a cavallo è restituito
più o meno fedelmente, quasi troppo presente eppure estremamente banale.
L'insistenza sul disegno semplice, tracciato mediante una penna un po'
rigida e poco intrisa di colore confacente a un trattamento pittorico
sommario, spesso immerso in uno spazio innevato e "un po' malinconico",
giunge a trasformare il contenuto in realtà mimetica. Queste immagini così
definite, se non addirittura iperdefinite, si presentano a ben vedere come
le loro ombre trasparenti e disincarnate, come miraggi. Spoglie rigide in un
mondo quasi sospeso dove la pittura gioca sulla somiglianza per meglio
distanziarsene, come accade in Wagner malt einen Reiter im Schnee, uno dei
maggiori dipinti della serie dei cavalieri.
Remix
Dal 2005 il bisogno di rielaborare i propri soggetti dà vita ad una
produzione sistematica dove i dipinti realizzati da adolescente e nel corso
degli anni sessanta - come ad esempio la serie Die Hand o Lockiger - vengono
attualizzati, ripensati e riproposti in tele dalle dimensioni monumentali e
in disegni acquerellati di medio formato. Rivisitando i maggiori successi
della sua carriera con mano rapida e sicura, Baselitz diventa in un certo
senso l'organizzatore della propria retrospettiva. Come lui stesso racconta
"la serie dei Remix è nata dall'interesse costante per le mie cose, per i
dipinti e i disegni che ho prodotto, una sorta di retrospettiva di opere
compiute che organizzo io stesso, e forse anche dall'ammirazione per ciò che
ho fatto in passato e ora non sarei più in grado di fare […]. Ovviamente c'è
molto in comune con la prima versione, ma quella nuova è più adattata al
periodo perché è stata quantomeno realizzata in maniera rapida e netta, con
maggiore distacco rispetto al passato. Finisci sempre per scuotere un po' il
modello, girargli intorno, infondergli nuovi elementi |
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