Michela Persico-Campana
avrebbe desiderato diventare maestra, ma, frenata dall’estrema severità di
un professore del ginnasio, dovette ripiegare per la sezione che allora
veniva denominata “per le maestre d’asilo”. La vita le ha sottoposto alcune
stupende sfide: allevare tre figli, una bambina in affido, e crescere con
loro; assumere il ruolo di monitrice nella locale Società Federale di
ginnastica e curare il suo primo libro, che è un gesto d’amore nei confronti
della sua zia, maestra per quarant’anni a San Nazzaro e poeta inedita:
Irene Marcionetti. Graffiando il Novecento. “Non sono di nessuno”: le
parole di una donna nascosta, Edizioni Ulivo, Balerna 2005.
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Si deve a Michela
Persico-Campana, nipote della scrittrice, se questo prezioso libro giunge
alla luce. Essa infatti ha salvato dall'oblio e dalla distruzione le carte
disperse della zia Irene, poetessa ai più sconosciuta in Ticino, ma non
estranea ai fermenti della poesia del Primo Novecento e portatrice di una
acuta sensibilità femminile. Ne nasce un libro armonioso e limpido, in cui
si fondono sapientemente le prose e i versi della poetessa alle note e
commenti della nipote, questi ultimi mai soverchianti le parole della
autrice, ma quasi marginali e in disparte, per guidare il lettore alla
connessione di eventi, circostanze, fatti. Note si direbbe, di servizio, ma
non solo, perché la profonda empatia che lega la curatrice alla autrice, si
svela nella condivisione di quel mondo e di quegli ideali per i quali Irene
Marcionetti è vissuta.
Irene Marcionetti nacque a Sementina il 27 aprile 1904 e morì a Locarno nel
2004. Fin da bambina manifestò in famiglia il suo spirito libero ed aperto,
la sua vivacità intellettuale. Il padre Pietro la avviò agli studi
magistrali e insegnò a San Nazzaro per lunghi anni. Molti dei suoi testi,
ora confluiti nel libro, furono pubblicati sulla rivista "Il Dovere", cui
collaborò con rapide prose, capaci di focalizzare in poche righe il cuore di
una situazione e di un problema, a volte piegate sulla pagina di diario e
sullo sfogo interiore, a volte contenenti una denuncia, un grido: "Mamma,
perché non mi hai cucito le palpebre con un filo di ferro; perchè non hai
messo le tue forti palme alle mie orecchie? Mamma, i miei occhi hanno visto
la bruttura del mondo... La mia pupilla si è dilatata dallo sgomento. Mamma,
le mie orecchie hanno udito i vituperi e le bestemmie dei sobborghi. Hanno
udito piangere e mentire. Mamma, tu non hai saputo cucirmi le palpebre. Tu
non hai saputo mettere le tue palme alle orecchie. Ed ho perduto il
paradiso" (p. 51). I due toni, quello intimistico e privato e quello
sociale, non vanno visti distinti né opposti, essi infatti coesistono in una
sensibilità ove il sentire personale e quello pubblico (ricordiamo i suoi
articoli a favore della condizione femminile) sono una cosa sola. Animo
orgoglioso e indipendente, Irene Marcionetti, ebbe un senso vivo della
contingenza del vivere che trasfuse nelle sue liriche ed in una in
particolare che potrebbe essere assunta a modello e paradigma del suo
sentire : "Non sono di nessuno: / neppure di me stessa. / Forse - mi hai tu
- a volte, / uragano che torci i prugni / e recidi i rossi viticci / e sopra
le vigne cali / cortine di pioggia bianca, / e tendi sulla vallata / la
nuvolaglia verde - e poi / l'ammucchi. / Ti voglio bene e male. / E tu mi
accarezzi con aria calda / e mi porti odor di sambuchi / e di caprifogli; e
a un tratto mi premi / mi sbianchi gli occhi / mi fai dolorare insieme alla
terra. / Resto nel vano di un muro, / afflosciata. / Ancora tu accendi sui
monti / fiori di fuoco / e in azzurri le lastre nei boschi. / Ma poi - /
adagio e cauta - / ti sfuggo. / E già ora non sono più tua, / e non son di
nessuno" (p. 45). Il delicato eros della sua poesia la avvicina alle più
vive voci del Novecento; tra queste ricordiamo Sibilla Aleramo, con la quale
Irene Marcionetti ebbe un interessante scambio epistolare. Irene partecipò
vivamente alle vicissitudini umane e letterarie della Aleramo e alle
difficoltà di emergere da parte di una donna nel mondo culturale di allora.
Le due poetesse si incontrarono per la prima nel 1929 e poi ancora nel 1931
e nel 1933. Il libro raccoglie alcune lettere intercorse tra le due donne,
ritrovate e conservate dalla nipote. La Aleramo, che lesse i versi di Irene,
la sollecitò vivamente a continuare a scrivere, invitandola anche alla
pubblicazione ("Se un giorno vorrai raccogliere in un volumetto i tuoi
lavori, e vorrai da me una parola di prefazione, te la manderò con gioia" -
p. 69 - lettera del 9 febbraio 1931). Già nel 1929 la Aleramo si esprimeva
favorevolmente verso le poesie di Irene; esse sono vere poesie e non
esercizi letterari né meri sfoghi intimistici; attribuiva quindi la Aleramo
ai versi di Irene una dignitas artistica che oggi la lettura ci restituisce
integra oltre la patina del tempo. In particolare la Aleramo individuava nei
versi della Marcionetti "una grazia, una delicatezza, una purità di tocco
commoventi" e poi: "continua a 'notare' così, per te, i tuoi momenti più
intensi o più alati. E poi un giorno ti troverai fra le mani una buona
messe, ch'io ti aiuterò, se vorrai, a distribuire altrui" ( p. 73 - lettera
del 10 novembre 1929).
La tessitura del libro, saggiando la personalità di Irene, sfiora tutti i
suoi temi più cari (la donna, la natura, la solitudine, il rapporto con il
corpo e la malattia, l'insegnamento che visse come un'offerta), presentando
in chiusura un nutrito gruppo di liriche ed anche una serie di dipinti e
disegni della scrittrice che non disdegnò di cimentarsi anche con altri
mezzi diversi dalla parola.
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