NETWORK DI STUDIO
DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

 

ALZHEIMER E FUNZIONE SIMBOLICA
DELLA TOMBA E DELLA SOLITUDINE

Romeo Lucioni 

L’enigma della vita e della morte si ripropone nel valore simbolico della tomba: nella morte, attraverso il sarcofago, si preserva la vita.

"Sol chi non lascia
eredità d’affetti
poca gioia ha nell’urna ..."

( Ugo Foscolo: "I sepolcri") 

La morte salvaguarda la vita , quella vera, la affettiva, la trascendente!

Nel disegno di una giovane paziente CAR. la vita è uno spazio bianco, completamente vuoto; la morte, un ambito ricco di personaggi, di prospettive, di emozioni, di luci e di ombre che arricchiscono i vissuti.

Nell’analisi psicodinamica di questo caso, sorse la correlazione tra "Mortizia" (la madre, nella famiglia Addams) e la Dea della Memoria -"Mnemophis"- che viene classicamente rappresentata come una figura slanciata di donna, con un peplo nero, capelli neri, nell’atto di procedere tenendo al guinzaglio un cane altrettanto nero.

La simbologia evidenzia, nel cane, il valore della fedeltà che, nel nostro caso, si riferisce ai ricordi, ai vissuti personali, intimi, profondi ed al desiderio di preservare le persone care attraverso la memoria di momenti felici reali o, forse i più, illusionati.

Memoria, fedeltà e morte si uniscono simbolicamente nella tomba, fatta scrigno, "tempio inviolabile" di un "estremo atto d’amore": le cose più care, perchè non si perdano, vengono "seppellite" nella memoria; non più vissute nell’ambito del reale, vivono nell’immaginario.

Automaticamente la realtà si divide, come nel disegno; l’ Io non può più realizzarsi nello spazio della luce, del giorno, della vita e si nasconde o rinasce nell’ombra, nelle tenebre, nel cimitero.

La lettura psicodinamica di questa storia si riallaccia a profondi sensi di colpa e ad atteggiamenti autodistruttivi: l’ Io si vede "orrorizzante", spaventoso e richiede "una maschera" per potersi presentare al mondo, per affrontare gli altri.

Nell’Alzheimer, la maschera, che si riconosce nella perdita della mimica, nello sguardo assente, negli spostamenti afinalistici ed ossessivi, nasconde un mondo personale che obbliga ad essere indagato per essere finalmente capito.

Paradossalmente il demente Alzheimer si trasfigura nella realizzazione simbolica della tomba. La chiusura al mondo acquista il senso di ricerca assoluta di quei vissuti amorosi, quegli accudimenti, quelle gioie che hanno riempito la vita passata, i vissuti e le esperienze. La perdita della memoria accompagna questa riflessione su se stessi, impedendo che l’esperienza vada a turbare una immaginaria simbiosi tra il soggetto e l’oggetto amato.

Le esplosioni emotive, tipiche di questa malattia, sembrano il segno della lotta tra il Super-Io e l’ Io e ne rappresentano i tentativi di mettere fuori di sè gli "oggetti d’amore" diventati ormai cannibalici e distruttivi.

Il supremo atto d’amore conduce inesorabilmente alla distruzione del soggetto, all’annichilimento della volontà, del desiderio, del pensiero, della presa di coscienza: l’oggetto d’amore introiettato si è trasformato in Super-Io cannibalico.

La giovane CAR. per liberarsi da questo persecutore interno, già oggetto d’amore, non aveva altra via che quella di relegarlo nella "memoria del cimitero". In questa dimensione, l’ Io continua la sua lotta impari spostando drammaticamente fuori di sè gli oggetti d’amore che va formando: non può più amare in una dimensione paritetica e di valorizzazione scambievole; l’amore si trasforma in atto riparativo: una rinuncia di sè per aiutare gli altri.

Nell’Alzheimer, il soggetto diventa la tomba, recettacolo dell’oggetto d’amore (che così difeso non può più morire) degenerato e quindi cannibalico; la memoria viene introiettata e blocca ogni forza dell’ Io, distrugge ogni volontà di vivere: non posso "vedere", nè sentire, nè pensare, nè amare! La famosa frase riferita all’ Alzheimer "i morti che camminano", è veramente e totalmente giustificata.

E’ evidente che questa "lotta" si sviluppa:

  1. attraverso processi inconsci;
  2. senza utilizzare meccanismi razionali ( la corteccia è per lo più compromessa);
  3. utilizzando, al contrario, meccanismi emotivo-istintivi perchè anche quelli affettivi sono compromessi ( anche l’affettività necessita una corteccia sana).

Facendo una digressione, possiamo, per un momento, andare all’E.I.T., alla "terapia di integrazione emotivo-affettiva" per la quale i risultati favorevoli ottenuti nei pazienti Alzheimer sono stati messi in rapporto all’utilizzo di meccanismi emotivi (intatti) per ricreare una dimensione emotivo-affettiva che, nella relazione, nella vicinanza, nell’incontro, nell’uso di una motricità complessa, non solo finalistica, ma anche espressiva, risulta capace di supportare probabili interventi riparativi utilizzando vecchi circuiti disabituati o circuiti collaterali.

Si può accennare qui ad alcune osservazioni preliminari di colleghi neurologi, comunicate verbalmente, con le quali si è messo l’accento su meccanismi di irrorazione sanguigna che intervengono a determinare il miglioramento di alcune funzioni psichiche e, soprattutto, della qualità della vita e che potrebbero aprire un capitolo nuovo per l’indagine ed in special modo per prospettare possibili terapie.

Tecniche basate sulla danza, sul rilassamento e sul movimento, che portano i pazienti a "mettere dentro" , potrebbero non essere utili al paziente Alzheimer e, proprio per questo, l’ E.I.T. risulta attiva e positiva: aiuta a riconoscere la validità dell’altro non solo come qualcuno che dà, ma soprattutto come qualcuno a cui possiamo dare.

Agire sullo specifico atteggiamento-comportamento di poter dare, ha due giustificazioni positive:

  1. aiuta a controllare l’angoscia delle perdite e quindi ad elaborare catarticamente quel "lutto distruggente" che potrebbe essere stato, almeno in certi casi, il momento scatenante della malattia;
  2. riporta alla realtà, nel senso che fa superare quella dimensione pan-distruttiva che viene ad essere il nucleo dei vissuti: non faccio nulla, ogni mio atto è distruttivo!

Il tema sin qui analizzato, presuppone altre riflessioni che riguardano:

- la esiguità della vita,

- la solitudine,

- la morte come meccanismo tragico che permette l’immortalità.

A ) I versi della poesia di Quasimodo:

Ognuno sta solo sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed è subito sera.

(Salvatore Quasimodo: "Ed è subito sera")

ci parlano della solitudine e della poca importanza della vita che, appena accesa, già sprofonda nell’oscurità. Il senso dell’eseguità del tempo che ci è destinato per vivere contrasta con l’immensità atemporale della notte: il giorno è un "baleno", mentre la notte perdura nel tempo.

Proprio questo elemento è la riprova di quanto abbiamo scoperto, nei vissuti dei pazienti, come modello irrinunciabile e forse anche come memoria congenita o dell’inconscio o "memoria collettiva". Evidentemente lo scambio della vita con la morte diventa un meccanismo logico ed estremamente efficace per sopportare il senso dell’ineluttabilità della morte e l’angoscia della fine e della perdita irreparabile.

B ) Il tema della solitudine risulta anch’esso particolarmente complesso e ricco di simbolismi e di valori. Vista superficialmente come frustrazione e dimensione anti-umana (l’uomo è un animale sociale), nell’ambito filosofico ed etico, invece, si trasforma in modalità riflessiva necessaria per la "crescita".

Ritornano alla memoria gli esegeti, gli eremiti, i santi che si sottoponevano a periodi di solitudine per poter "abbracciare la luce". La "andata al deserto", di biblica memoria, è qualcosa di creativo, un "cammino esoterico" per raggiungere la "saggezza". Anche le visioni o prove sataniche che riempiono il mondo della solitudine non fanno altro che mitizzare e glorificare lo "spirito umano".

L’ascesa in solitudine di Mosè simboleggia, ancora una volta, la dimensione etico-trascendente della conquista da parte dell’uomo di quegli elementi che l’avvicinano a Dio. Le tavole della legge poi, si contrappongono misticamente e simbolicamente al "vitello d’oro", conquista della moltitudine, del sociale, della intelligenza che, senza la spiritualità della conquista ascetica, non raggiunge il valore mistico della "ragione".

La conquista mitica della saggezza che ci avvicina a Dio, risulta come ricomposizione nella memoria di una presenza che si trasforma in "legge" capace di dare senso e significato al "libero arbitrio".

La solitudine, come scelta personale, diventa l’atto riparativo che conduce alla vera unione e, nell’Alzheimer, ancora una volta, all’unione incorrompibile ed eterna con il proprio oggetto d’amore: l’immagine mitica del "seno-materno".

C ) La morte tragica che "illumina d’immenso" è un classico della cultura e ci riporta immediatamente a figure come:

lo scrittore novellista Cesare Pavese,

il compositore Luigi Tenco

l’indimenticabile Ernest Miller Hemingway

il cantante Elvis Presley

la mitica Marilyn Monroe.

Per questi la morte suicida porta ad immortalare il Sè nel momento del massimo splendore o al culmine della carriera, prima dell’inizio del temuto declino.

Anche nell’Alzheimer la morte tragica, nascosta dalla maschera immobile della amimesia, sembra quasi la trasfigurazione di un mondo nascosto ed inconoscibile, preludio di una vita che non può essere più corrotta dalle esperienze.

In questo senso l’amore si racchiude su se stesso perchè nuovi amori o gli altri amori distruggerebbero l’amore unico ed imperituro per il proprio "oggetto interno", per quel "buco nero" che "vorace" tutto ingoia: il mondo perde significato di fronte alla realtà che sta dall’altra parte, nella parte nascosta della retina di un "occhio" che guarda all’interno.


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