A.C.E.I.

Association for Childhood Education International
Associazione Internazionale di Educazione Infantile


LE DINAMICHE TERAPEUTICHE VISTE COME GUIDA NELLO STRUTTURARSI DI UNA COMUNICAZIONE, FONDAMENTALE PER UNA BUONA CONFIGURAZONE EDUCATIVA.

Silvia Pedota

 

La difficoltà del momento educativo è implicita nella complessa articolazione del concetto di educazione, visto che esso presuppone la problematicità della definizione dei Ruoli e del "gioco delle parti", in cui assume significativa importanza la contrattazione della Volontà tra educatore ed educando. E’ facilmente desumibile quanto sia maggiormente delicato questo compito educativo all’interno di una relazione, come quella con un bambino autistico, in cui questi Ruoli sono confusi "per definizione". Premesso ciò, è necessario cercare di accennare una contestualizzazione della modalità educativa cui ci riferiamo: l’educazione è da noi vista come problematizzante, ossia tendente a liberare nella comunicazione le possibili istanze creative e intersoggettive dell’educando, in un’ottica in cui viene attribuita fondamentale considerazione alle importanti differenze nella sfera affettiva e ai diversi livelli di adattamento del bambino, prima di poter anche solo accennare ad un approccio educativo. Le dinamiche terapeutiche vengono così ad assumere una posizione elettiva, esprimendosi come guida per il configurarsi di una modalità comunicativa, presupposto fondamentale alla definizione di un modello educativo. Dunque, il processo educativo affida la sua "scientificità" alla conoscenza psicologica cui fa riferimento; sono inoltre estremamente importanti le risonanze psichiche che il processo educativo comporta nell’educando: divengono così preziose le "osservazioni-restituzioni" dei comportamenti del bambino da parte degli educatori, consegnate ai terapeuti. Dunque è necessario, prima di poter rispondere al bisogno di precisi metodi, procedure, obiettivi, espresso dagli educatori e derivante da un assetto scolastico prevalentemente fondato sulla "psicologia cognitiva", offrire agli educatori i risultati di uno studio in profondità dei meccanismi psichici messi in gioco nella dinamica relazionale con un bambino autistico, che affondano le radici nel delicato rapporto madre-figlio e la cui conoscenza è fondamentale per l’istaurarsi di una relazione educativa.

Vorrei soffermarmi su alcune delle variabili che in quest’ottica divengono maggiormente significative in seno ad una relazione educativa: la gestione dei Ruoli e la contrattazione della Volontà.

E’ importante sottolineare che la scuola è la sede da cui più facilmente proviene una domanda d’aiuto rivolta ad un terapeuta nei confronti di un bambino autistico. La scuola è infatti il primo ambiente in cui può nascere un reale progetto-processo educativo, soprattutto per il setting che rimanda all’ "istanza paterna", deputata al rispetto delle regole , degli spazi, dei tempi, all’uso di un linguaggio diverso, tutti elementi fondamentali per la definizione dell’ "identità". In questa sede infatti il bambino autistico ha la possibilità di assumere un Ruolo nuovo e "sicuro" rispetto a quello mal definito che possiede in famiglia: qui è uno studente. E’ veramente decisivo creare una collaborazione tra educatore e terapeuta, per far sì che questo nuovo Ruolo non sia solo una nuova etichetta, ma che il bambino possa godere appieno dei benefici del possedere nuove possibilità, punti di vista e una migliore autostima.

Ritengo sia veramente fondamentale far cenno all’ambivalenza insita nella funzione del Ruolo, che complica la gestione dello stesso sia da parte degli educatori che del bambino. Infatti, da un lato gli educatori devono riuscire a ben codificare i ruoli nell’approcciarsi ad un bambino autistico, perché ciò permette di creare punti preziosi di riferimento, conferendo sicurezza al bambino autistico. L’educatore deve però riuscire anche ad equilibrare la gestione del Ruolo, con il mettere in gioco la propria "equazione personale", tentando di far emergere la propria "autenticità", "verità di persona", posta di fronte ad una realtà sicuramente non scevra da oscurità, ma comunque popolata da luci ed ombre, come è la situazione autistica. In ciò si esplicita l’importante funzione, nel contempo di stimolazione e di sostegno che l’équipe di terapeuti deve mantenere nei confronti delle figure educative.

Diviene dunque fondamentale per il terapeuta accogliere le inevitabili difficoltà, frustazioni avvertite e vissute dall’educatore. La sinergica collaborazione tra queste due figure, non solo supera un’ inutile colpevolizzazione da parte dell’area educativa nei confronti della psichiatria, tacciata in passato di nascondere dietro etichette rassicuranti la problematicità della relazione con un bambino autistico, ma inoltre crea un territorio estremamente creativo di scambi e aiuti reciproci che possono solo migliorare, sia per il terapeuta che per l’educatore, la relazione con il bambino autistico.

Per esemplificare quanto detto possiamo far cenno ad alcune delle molte dinamiche verso cui il terapeuta può sensibilizzare l’educatore. E’ importante ad esempio che quest’ultimo, posto in relazione con un bambino autistico, soprattutto con il "tipo simbiotico", non si identifichi con la figura materna, questo tentativo infatti pur esprimendo un "disperato" bisogno di mettersi in relazione, manifestato dall’educatore, nasconde dietro atteggiamenti di sicurezza espressi in un "maternage-onnipotente", l’infinito senso di impotenza dell’educatore e la sua ricerca di un Ruolo preciso, già codificato. Inoltre egli, così facendo, collude pericolosamente con le difficoltà primarie incontrate da un bambino autistico: quelle emergenti nella diade madre-figlio. E’ all’interno, infatti, delle precocissime relazioni della coppia madre-bambino che si innalzano barriere di frustazione, per una mancanza di reciprocità nelle domande-risposte di attenzione. Risulta chiaro come l’identificazione, da parte dell’educatore con la figura materna, conduca verso un’enfatizzazione della primaria rabbia, provata dal bambino, ed inoltre quest’ultimo sarebbe così incluso ora nel mondo dell’educatore, dopo esserlo stato in quello della madre. Viene ad essere per cui ostacolato il prezioso processo di formazione di Ruoli nuovi, cui ho fatto cenno in precedenza. Per dare la possibilità di formare un al bambino autistico, bisogna necessariamente che questi impari ad avere la consapevolezza dell’esistenza separata degli Altri, E’ dunque necessario che il bambino autistico esca dal modello di relazione istaurato con la madre e impari a comprendere che il contatto con la realtà esterna è sì Frustante, perché toglie l’Illusione, ma è anche possibile un processo di adattamento alla realtà dove contemporaneamente ci sia una Gratificazione, infatti il contatto con la realtà può anche arricchire e stimolare. Per far ciò è importante che gli educatori siano propositori, nei confronti dei bambini autistici di un "narcisismo positivo".

L’educatore potrebbe, al contrario, porre troppo rigidi confini di separazione nei confronti del bambino autistico, soprattutto con il "tipo ipercinetico", cercando di contenerlo eccessivamente, così facendo l’educatore verrebbe a trovarsi, suo malgrado, in una situazione in cui, sotto l’apparente desiderio di aiutare il bambino, si cela invece un bisogno di ipercontrollo gestionale della relazione, di presa di distanza, che porta ad una coartazione affettiva.

Prendendo in analisi la seconda variabile da me prima citata: "la conntrattazione della Volontà", vorrei tentare di spiegare che cosa intendo con quest’espressione e le possibili difficoltà inerenti la gestione di questa dinamica. E’ infatti molto importante, che l’educatore non imponga la propria Volontà, perché pensa che non esista quella del bambino autistico, ma si sforzi di costruire un incontro con esso che disveli la Volontà del bambino autistico. Ciò presuppone che l’educatore crei una relazione in cui il livello cognitivo di interazione è posto tra parentesi per un primo periodo della relazione, per dare invece spazio ad un livello maggiormante empatico, "affetivo" e non rifiuti questo livello di comunicazione, rendendo così fioca la voce dell’educando, perché crea disagio, ponendo l’educatore di fronte ad una moltaplicità di significati, messi in gioco dal bambino autistico. Quest’ultimo infatti non è mai una "tabula rasa", parafrasando la definizione di "fortezza vuota" attribuita ai bambini autistici. Bisogna dunque ,nell’approcciarci ad essi, procedere "per via di levare" come una scultore, seguendo un ammonizione cara a Freud, vale a dire scalpellare via il marmo, finché la statua si materializzi e acquisisca quindi una forma che la renda originale e unica.

Dietro un’apparente passività il bambino autistico sta in realtà cercando di mettere in atto il tentativo di indebolire la fiducia di colui che se ne prende cura e di sovrastarlo attraverso un’occulta megalomania egoistica di cancellarci, affermando passivamente una loro Volontà. Questa dinamica non è realmente distruttiva, sottende al contrario, una forte paura che il bambino prova di fronte alla constatazione della propria separazione dall’altro e della propria dipendenza. E’ dunque necessario appoggiare l’educatore affinché non sia scoraggiato nell’istaurare una relazione il più possibile simmetrica, all’insegna della contrattazione dei significati. Il bambino autistico infatti è sempre portatore di significati, che è veramente importante imparare a leggere a rendere preziosi nelle loro parti positive, ad esempio riuscire a decodificare il loro immenso bisogno di una buona relazione rassicurante e davvero costruttiva. Bisogna inoltre riuscire a trasformare insieme quelle parti che invece testimoniano disagio di questo "essere di fronte al mondo", dimostrato ad esempio, dalla proiezione dei suoi fantasmi interni. E’ infatti dall’ ambivalente tensione tra il costruire e il distruggere, e non necessariamente dalla prevalenza della seconda posizione, come si potrebbe erroneamente osservare, che prende forma e si dispiega il delicato approccio del bambino autistico nei confronti dell’altro. Bisogna che la separazione tra lui e l’altro sia gradualmente vissuta come cooperativa, e non come competitiva: la dipendenza infatti, non indica necessariamente una posizione di "inferiorità". L’educatore per far ciò deve sapientemente dosare "vicinanza" e "lontananza", non deve ad esempio in un approccio iniziale avviluppare questi bambini con troppe attenzioni e sollecitudine: in questo modo infatti non farebbe che colludere con i fantasmi di annichilimento del bambino. Ma al contrario, l’educatore deve rimpicciolirsi, riducendo il più possibile la propria Volontà per far emergere nel bambino un’iniziativa creativa, una disposizione ad un cambiamento non più vissuto come pericoloso per la propria identità, per poter così creare un incontro e non una contrapposizione di Volontà. Come ricorda R.Lucioni: l’educatore agirà con funzione simil terapeutica non funzionerà come sostegno (che serve ad assolvere le aspettative) ma come Io Ausiliario, adattandosi a questi bambini che così troveranno in lei/lui un Buon Oggetto che possano accogliere.

Gli educatori devono riuscire a far fronte all’iniziale paura del vuoto che il bambino prova per il senso di separatezza, non colludendo però con esso empaticamente e provando così dolore ed angoscia. E’ quindi necessari che siano aiutati a portare questi sentimenti gradualmente alla coscienza, conquistando confidenza con la parte "disperante" che è dentro di loro (la separazione infatti crea in ognuno di noi dell’angoscia).

La vetrina di cristallo del compiacimento, che si puo’ avere nei confronti dell’operare con un bambino autistico, deve andare in frantumi: dobbiamo, sia terapeuti che educatori, spogliarci della "Nostra Presunzione".


IN 1° PAGINA:  PRESENTAZIONE  ACEI

IN 2° PAGINA:  PRESENTAZIONE   ACEI

IN 3° PAGINA: GIORNATA DI STUDIO SULLE DINAMICHE EDUCATIVO-FORMATIVE E DI APPRENDIMENTO CONNESSE ALLE PROBLEMATICHE PSICOPATOLOGICHE DELL’INFANZIA

IN 4° PAGINA: VERBALE DELLA RIUNIONE TENUTA IL GIORNO LUNEDÌ 17 GENNAIO 2000
DAL GRUPPO DI LAVORO PER LA PREPARAZIONE DEL SIMPOSIUM VARESINO SULL’EDUCAZIONE E LA PSICOPATOLOGIA

IN 5° PAGINA; CONTRIBUTI ALLA PREPARAZIONE DEL CONVEGNO VARESINO 
"AUTISMO ED EDUCAZIONE"

IN 6° PAGINA: PRESUPPOSTI PER UNA "BUONA RELAZIONE MENTALE". 
DI SILVIA PEDOTA

IN 7° PAGINA : CONTRIBUTI ALLA PREPARAZIONE DEL CONGRESSO

IN 8° PAGINA: AUTISMO A SCUOLA: NON LASCIATEMI SOLO"
Quando la domanda sorge a scuola: la relazione educante
La relazione educante: una esperienza

7° PAGINA


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