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Ragioni morali del disegno di Guido Gonzato

Di Giuseppe Curonici

Guido Gonzato, nato nel -1896 nel Veneto, si spense nel Ticino il 21 ottobre 1955.
Cronologicamente ci troviamo sullo sfondo di quel mezzo secolo di storia europea che
fu tra i più travagliati nella storia dell'umanità. Le guerre mondiali, certo, ma dietro
d'esse tutte le tensioni segrete o palesi che scossero i singoli e le comunità. La civiltà
gira attorno a se stessa; da un ordine fondato sui valori legati ad una tradizione agricola
si passa ad un altro ordine che ancora non esiste e che è da fare, sulle basi di una civiltà
radicalmente industrializzata che appena sta sorgendo. La pittura di Gonzato è di una
rilevanza filosofica e strettamente legata ad una situazione storica. Ritiratosi in quel breve
angolo che è la Svizzera Italiana, Gonzato fu immediatamente in rapporto con alcune
tra le maggiori tendenze artistiche del suo tempo, scegliendosi e costruendosi le sue
parentele in maniera perfettamente libera e autonoma. Per una parte, ecco le questioni
del Novecento Italiano, con la ricerca della stabilizzazione della figura, L'ampiezza
semplificata di un disegno sicuro e al limite anche solenne, che a Gonzato interessava
com'espressione morale: la stabilità della dignità umana diventava la stabilità costruttiva
del dipinto. Per un'altra parte, gli interessi di Gonzato puntano verso le aree culturali
settentrionali. Non a caso la sua prima personale ebbe luogo ad Oslo (1929).
Conobbe la Germania e le Fiandre soprattutto dal punto di vista dell'espressionismo:
Ensor, di cui vide le opere alla Biennale di Venezia del 1926 e che più volte incontrò
di persona; artisti come Otto Dix, come Grosz, che negli anni tra le due guerre mondiali
pubblicarono non poche e rilevantissime opere sul tema della ferocia e bestialità della guerra,
gli stessi motivi cui Gonzato dedicò la raccolta grafica qui riprodotta. Del resto,
1'influsso che egli esercitò sull'esigua ma ben orientata casa editrice d'arte San Quadrato
è altamente rivelatore. C'erano i maestri del Quattrocento, quelli appunto cui attinse
il Novecento Italiano; c'era Sironi, e poi Brueghel, Daumier, Dix, Grosz. Tra i movimenti
dell'avanguardia europea, gli interessavano quelli che rivelavano un senso drammatico
intenso e profondo mantenendo la presenza personale dell'uomo come unità morale.
La composizione o la rottura della figura erano lontane dalla sua indole. Il disegno dalla
linea sensibile e dalla movenza anche tragica, ma inflessibilmente continuo e circoscrivente,
risale a quest'unità dell'uomo. Doppiamente se ne sentono, quando occorre, strappi e lacerazioni.
D'altra parte, l'unità responsabile, la coscienza umana, è un'unità sui generis, un'unità dinamica,
radicata su un rapporto dialettico interno. E' significativo che in pittura Gonzato trattasse
ripetutamente il tema della maschera. Il volto o addirittura il teschio mascherato è un'immagine
di duplicità. La maschera è una difesa della libertà interiore, un'ipocrisia alla rovescia;
è anche il conflitto tra il valore cui vorremmo arrivare - essere agili e sottili come l'acrobata,
gioiosi come l'arlecchino multicolore e nel contempo sentire nel fondo della coscienza il peso
opaco che ce ne fa divieto. Il volto sdoppiato è la sospensione tra vita e morte, oppure,
in termini politici, la tensione tra la realtà di fatto e la sofferta aspirazione ad una giustizia remota,
e in termini religiosi il rapporto tra il peccato e la grazia. 0 anche: il sonno eterno e l'ebrietà folgorante.
Gonzato aveva nel suo studio, accanto a teschi e maschere, alle opere di Jacopone da Todi, il
Don Chisciotte e a dischi con opere di Beethoven, anche le quartine di Omar Khayyam: coloro
i quali furono maestri di ogni virtù e di scienza, e per la loro sapienza risplendettero come lampade
al mondo, non fecero neppure un passo al di fuori di questa notte buia, raccontarono una favola,
e ricaddero nel sonno. Oscurità e luce. La vita come festino mortale. Ma questo soffio meditativo
non rimase, in Gonzato, una velleità né un discorso genericamente idealizzante. Gonzato lo sentì
presente nella storia, tra gli uomini veri, nella realtà di un tempo concreto, nella vocazione di una
responsabilità presente.

                                Giuseppe Curonici                                

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